lunedì, dicembre 24

Carissimi amici,
questa mattina mi sono svegliata con una profonda gioia dentro, qualcosa che è salito ed esploso come quella volta che m'è suonato dentro, senza cercarlo, un tuono che mi ha riscossa (WaHeGuRu) e m'ha portata oltre tutto quanto è successo, e allo stesso tempo ha impresso un segno indelebile sulla mia pelle di dentro, quella ancora liscia e infantile, non incrinata dal vento e dai tempi della vita. Una prima ruga, c'è anche lì, ora.
 Cerco nella memoria le cose, e ripeto parole e suoni, gesti che si sono scelti di fare, fughe precipitose eppur coscienti, prove e compimenti di desideri;  e poi, arrivata allo scorso capodanno, rammento delle mille volte che ho sentito dire: "non vedo l'ora che sia finito questo anno". Ecco, chi può dire con fermezza questo, forse non ha mai affrontato quei tre minuti di esercizio di cui amo sempre parlare. Quelli in cui quando arrivi alla perfezione, e staresti (qui) per sempre, il tempo è finito. Quelli che, probabilmente, ci vogliono per un ultimo volo a terra da quattromila metri senza paracadute
"Sprechiamo giorni, mesi, anni, e alla fine ci accorgiamo che mancano solo trenta secondi". Così J.Beauregard in "il mio nome è nessuno".  Così io, oggi.
Oggi che cado da quota duemiladodici... e in un lungo flashback rivedo tutti questi giorni, mentre tento allo stesso tempo di restare attenta a questa sensazione di volo a rovescio... come se precipitare mi portasse sempre più su. E guarda un po' che strano... nonostante provi a rammentare tutto, solo le cose veramente belle, pure, gioiose, mi si mettono dinanzi e danzano quest'ultimo giro, prolungando il tempo fino alla perfetta coincidenza tra quello che è stato, ciò che sarà.. e ora.
Qui c'è il viaggio nella morte a Trieste, c'è l'esperienza opposta dei bambini e della piccola Lu' fra le mie braccia, ci sono gli abbracci con i miei, mio fratello che si sposa, l'amico che ho perso non so  ancora come in incomprensioni e silenzi, lunghe corse sulle spiagge di Ilio e tramonti di sole, e neve sulle colline e sui capelli, e risa, e baci, e "il viaggio Nino", come lo chiama lui, ancora, mentre sfoglio le pagine. Come lo chiama lui ancora, l'amico che ho trovato non so più quando in una comprensione inspiegabile, perché il tempo in questo volo, come allora, sembra non finire mai.


C'è il viaggio in nuova Zelanda compiuto solo sul web, concluso con la morte del Falco e il mio nuovo volo d'aquila, e le mille coincidenze che fanno di questo anno la manifestazione evidente di quanto tutto alla fine sia "giusto e perfetto". Ci sono altri passi compiuti, ostacoli scavalcati, cadute, infinite piccole morti a questa vita. Non posso e non riesco a spiegarne meglio, perché è una sensazione da "ultimi trenta secondi". E' il momento in cui le cose non si parlano più, ma semplicemente sono, e tatuano l'esistenza successiva: qualunque sia il destino che attende.


E in questo implodere che mi riporta fuori dolente, stupefatta, curiosa, infantile, inesatta... perfetta... scopro e vi dono l'immensa gratitudine che dilata fino a sconfinare e confondere fuori e dentro, tutto il mio essere ora.
L'immensa gratitudine... per ogni respiro che avete condiviso con me, per ciascun abbraccio, commento, silenzio, dolore, separazione, legame, libertà; per ciascuna mano sulla spalla, prestito d'ala,  sguardo sull'orizzonte, occhi aperti su di sé; per ciascun fremito, carezza, pugno, strappo, premio. Per ciascun istante, di questa vita che ha, nel suo essere alla fine solo "ora", tutta l'eternità che vogliamo.

A tutti, per tutto questo, grazie di cuore.
Di tutto cuore auguri, tutti gli auguri che posso.
E se posso, vorrei ridarvi tutto l'amore che ho avuto,
e se non l'ho compreso tutto, che sia tutto vostro
quello che non ho saputo vedere.

sabato, dicembre 1

Chiudere la valigia (il Falco è morto)

Ho chiuso la valigia, 
mettendoci dentro le immagini e i ricordi tattili, quelli che non porterò più altrove, che non si cuciranno con altri nuovi (di noi), e con l'attesa che è finita tra i ritagli di giornale. Attesa che si prolunga ancora ben sapendo di non compiersi, nello scrutare l'ultimo dettaglio di quell'ultima foto e dei titoli che si rincorrono. Nelle parole che poi sono sempre le stesse, che non riescono a raccontarti come ti ho vissuto.
 Il viaggio dall'altra parte della terra, è durato il tempo di prepararsi, in quelle infinite conversazioni in rete, in cui perdevamo la distanza che ci ha temuti irraggiungibili e che ora, paradossalmente, divenuta incolmabile ci fa più vicini.
"finché morte non ci separi"... ma la morte non ci separa. Ci lascia semmai un vuoto fisico, che si colma riportandoti alla vita con tutto ciò che ho appreso da te. Con tutto l'amore che c'è stato e che mi hai lasciato qui, perché potessi usarlo al meglio. Il meglio che credevo di fare era venire fin là, e riportartene un poco chiuso nella macchinetta del caffè che ti avevo preparato, e nell'attrezzo per il cappuccino, cui dovevo ancora comprare le pile. Il meglio era raggiungerti, quale estremità di me; invece ho raggiunto l'estremo, e ho chiuso il cerchio da sola, anche stavolta.

Gli oggetti che ti ho regalato me li terrò, insieme ai pattini e alla maglietta che conserva la tua dimensione, e mi ricorda che io, sono anche un po' te.  E' tutto ciò che mi occorre, fra l'altro, essere me e te, e poi le ruote per spostarsi e una cosa da indossare.. e quella cola al caffè, che chissà se mi berrò mai. 

Indosso questa nuova veste con cura, e tento di essere all'altezza. Anche se non sono più quei tremilacinquecento metri in cui ci siamo stretti questo legame, farò del mio meglio per essere quel che di te mi hai donato.

Mi slaccio i bottoni per farmi travolgere, con i piedi a terra, da questo ultimo vento d'autunno, lo stesso che ti ha chiuso le ali, forse confuso da questa realtà informatica che ci ha concesso di vivere le nostre mattina-sera allo stesso tempo, separati da dodici ore di fuso; filati dalla sorte che ha tagliato il filo, lasciando me a ricordarti, e a mettere nelle scatole le magliette estive che avevo preparato per perfezionare la confusione di questa estate-inverno in cui ci siamo tenuti insieme, io con il cappotto e tu con i pantaloni corti.  
A me che ho sentito le mie ossa rompersi,  l'immaginazione e la percezione rammentano il fracasso del tuo corpo che raggiunge la terra. Quella da cui ti allontanavi così spesso che pensavo davvero, che un giorno saresti fuggito altrove. Non credevo così presto; e se mentre ci siamo dati l'ultimo vero bacio senza asterischi, sentendo che non ti avrei rivisto pensavo solo che avresti trovato una donna che ti avrebbe tolto i ricordi.
Avevo ragione in qualche modo, ma solo sul femminile. Perché la morte non è donna; e non è nemmeno tempo. E in questa morte che mi ha strappato un pezzo d'anima per restituirmi un senso di amore più grande e forte, chiudo la valigia con un dolore stretto nelle serrature. Che non riesco a tenercelo tutto fuori, perché in parte si nasconde ancora. Lo sfilo lacerandomi il petto, mentre rimetto la valigia sugli scaffali, e in questo addio me lo vivo fino alla fine.
Così è,  che mentre mi avvio verso i nuovi voli, con le mano sporche della terra che avevo voltato nei vasi, il dolore mi resta di spalle. E il tuo sorriso, velato della tristezza nel fondo del tuo occhio sinistro, come quando si vedono le cose per la prima e l'ultima volta, mi resta innanzi.
Innanzi, nello specchio in cui la mia e la tua immagini si sono confuse. In cui sono adesso proprio tutta me e te. 
Solo che tu vivrai per sempre, io, solo ancora fino a che scriverò il mio ricordo. Ti ho amato, senza eesere innamorata di te. E con amore ti saluto..parafrasando Socrate:  tu a vivere, io a morire.  Chi dei due abbia il meglio solo dio lo sa. Ma io credo che sia il meglio che possiamo fare sia essere perfettamente qui dove siamo.