martedì, maggio 29

Buon compleanno

Quest'anno, Lila si regala l'energia del tempo dell'anno; che gira, la sfiora, le subentra, le trascina fuori ogni briciola di malessere, e non ne lascia nemmeno il ricordo sfocato. Il tempo fa regali poco costosi ma permanenti, e quest'anno non è da meno. Sembrava andata, questa forza dell'alto e basso, del bianco e nero, del dentro e fuori. Ma è un oscillazione, e come tale, torna come un soffio sulla scintilla;  e prendo fuoco in questa spirale ascendente che trascende, spalanca, esplode e si porta, in questo scoppio entusiasta, le persone che amo, le persone che assisto, le persone che amo assistere, verso vette di inimmaginabile. Alchimia.

"Io sono il mago della pioggia, niente è impossibile per me" re-cita Lila, da una delle sue canzoni preferite, mentre la ragazza col seme in testa espande il  movimento verso l'esterno, sfatando la paura dell'immobilità, ma non il momento che si suggella in un abbraccio. "io lo farò per te, io lo farò con te". Canta Lila con voce silenziosa. Batte il bastone a terra. Magia.

E Lila si regala un giorno, che è l'accoglienza di ogni piccola cosa che giunge per essere resa per la gioia; è come se il suo braccio fosse la mia vita, ed ogni movimento che si manifesta, è solo il preludio del prossimo regalo, ma perfetto in se stesso, e bastante così.  E questo (spero), è amore.



mercoledì, maggio 16

Una collana d'ambra

La ragazza con il seme in testa, mi ha regalato una collana di sangue di conifera; solido come ossa della terra, l'ambrato recinto che ora mi protegge il petto è leggero come le mie ossa cave di uccellino, e lega gli elementi in una densità magica, che ad indossarla con convinzione si può credere anche che possa fare un miracolo: fuoco emerso dalla terra, salito nel legno, liquefatto come l'acqua fuoriesce e cristallizza lo spirito essenziale. C'è tutto l'universo dentro ciascuna goccia.

E il filo che tiene insieme questo racconto, mentre mi muovo riconta le gemme, così per non distrarre troppo Dio, cerco di spostarmi lentamente,  in armonia con il suo respiro mentre tentiamo di far dissolvere il seme, farne esplodere le emozioni che racchiude e dargli la possibilità di diventare un fiore.
La sua corolla è già stata disegnata dalle mani che le han frugato dentro; è quella linea, tracciato sentiero fra i capelli caduti, che diciamo talvolta essere la sua corona di regina, talaltra il ferro di cavallo che le porterà fortuna da qui in poi. Per non suscitar l'invidia della gente, a volte lo copre ma il cappello, lo so, le va così stretto, che vorrei metterci una piuma, per renderlo più leggero.

 Ma per non cadere, non posso strappare le piume delle mie ricresciute ali, così provo con lei a ri-insegnare il volo alla farfalla  incastonata fra il tempo di una vita che le è morta tra le braccia anni fa, e le parete che delimita lo spazio che non si concede e non si trova, in cui sto, con lei, seguendo il ritmo delle parole; attenta e lieve come un astronauta osservo l'espansione cosmica volteggiando incantata.
Non so se sia per l'uomo che ha perso, che le è rimasto nel pensiero destro e non si muove da lì, come il suo braccio, ma l'immoto arto sinistro sembra rappresentare il peso della perdita, di qualunque morte e dolore che non se ne vanno;  se ne stava fermo, talmente calato nella parte, che abbiam dovuto indurlo a riprovare a vivere facendone recitare la parte attiva al destro, agile dentro lo specchio.

Quando il braccio ha iniziato a riconoscersi, per prima cosa ha cercato di avvicinarsi al cuore, che ancora non raggiunge, ma Lila e la ragazza hanno pensato che quando ci riuscirà, il cerchio sarà chiuso, e la vita riprenderà a scorrere, svelata dietro alle lacrime che, accumulate, offuscano quegli occhi verdi. Verdi come il mare, così appropriatamente salati che osservando le maree e bagnandosi appena le mani, Lila prega che il suo pollice cambi colore, e faccia germogliare il legno di questo giardino.
Che faccia uscire le ultime stille di passato, per rendere quel recinto che si forma con la mano sul cuore,  una collana d'alloro per la ragazza eroica.
Ci salutiamo con questo pensiero, e chiamando la volontà fortuna, sperando che arrivi.
Io metto il cappello, per via del vento, lei i capelli, per via del ferro di cavallo.


mercoledì, maggio 9

Ghost wisperer

Sono nata ancora, in una primavera appena accennata sulle rive dell'Adriatico, pallida per l'amore sbiadito, stregata dai voli e dall'atmosfera di confine di Trieste.
Sono nata morendo, in una ispezione accurata di emozioni che sono state sollecitate e cercate svuotandosi, come si estrae da una borsa ogni piccola cosa. La scuoti accuratamente, controlli che non ci sia qualcosa incastrato in una scucitura, e alla fine ti trovi con l'anima pulita e la sacca  pericardica leggera e fluida, che contiene senza comprimerlo un cuore nuovo, che sembra batta un tempo di musica, invece che i rintocchi del tempo che passa.



In un corso per apprendere a morire, ad accompagnare alla morte, a restare da superstiti e con coloro che continuano a vivere, sono morta. Di fronte alla paura e al distacco da quella vecchia, tesa e severa me, non ho potuto sopravvivere. Sono nata.

E ora non ho più tempo per studiare correre e lavorare: gioco solo, con l'anima cinquenne e i sogni comunque. Con gli occhi in disparte e le mani smarrite in una estensione infinita che pare a volte di toccare il fondo dell'universo; sono arrivata al centro delle cose. Ho guardato oltre la luce, se vogliamo immaginare che, dopo tanto immergersi in diagnosi fatali, iperboli di separazioni, lutti per quello che eravamo o per chi abbiamo perso, sono diventata una ghost wisperer. Con meno presenza scenica di Jennifer Love Hewitt, lo ammetto, ma con una presa di coscienza che ha portato i sensi oltre il confine conosciuto. 
Il tatto sconfina per interposizione dei tessuti; l'olfatto recepisce l'umore dell'anima, anche nascosto sotto due gocce di Chanel. Il gusto si raffina nell'apprezzamento della bellezza e la vista, allenata, diventa una lungimiranza senza lenti, predestinatami dall'ipermetropia.
L'udito cede alla percezione del non detto. E senza immaginarie voci, trascina oltre la sim-patia le vibrazioni emotive. Testa la possibilità empatica, che ti fa essere la parte stabile della coscienza altrui. Quella che sa porre la domanda, e tenerti fermo quando la risposta è pronta a travolgerti. 


Ecco, sono nata così. E non le conto più le vite, che è meglio non sapere quante ne rimangono, perché tanto ciascuna è a se stante, e il conto non è caro, se muori dopo aver vissuto.
Sono nata, con un sesto senso che è la mano che sento posata sulla testa, la mia kippah di Uomo che si erge su se stesso, con una innocenza conquistata e tenuta stretta, perché, checché se ne dica, i cinque anni tornano. E quando ti tornano dentro, morti a se stessi, sembra ogni istante di vivere da sempre. Per sempre. E mai più.