lunedì, marzo 29

Napul'è...

marzo, 27 ore 6,31
scendo nella profondità della terra. La mia sacca a spalla contiene acqua per il corpo e per il cuore; così il  rumoroso treno è il vascello di Caronte che mi traghetta con le mie paure, verso altro viaggio.
Sull'intercity "senza garanzia del posto" il viaggio diviene metafora della mia ricerca di collocazione; all'interno del gruppo con cui parto, di cui non conosco nessuno... nella vita di oggi, in cui mi percepisco a tratti come un 'personaggio non giocante'. In cerca di collocazione, appunto.


ore 18,07
Dodici ore dopo essere uscita di casa sono sull'Eurostar, e sopratutto sono piena di me. L'autore segreto della storia ha scelto per il suo eroe, anzi, la sua eroina, il racconto del viaggio della nascita: dall'accorpamento alla separazion, all'affermazione dell'identità.


"che libro hai sul comodino?" chiese il capogruppo a Lila...
Oggi era la prima gita con l' "Associazione"; ho scelto di iniziare da Napoli, benche poi si sia rivelato vero il detto "chi va in montagna e non sa andare in città... solo l'escursionista dovrebbe fa' "; coniato da una esperta turista di città, che vorrebbe iniziare viceversa ad andare in montagna. A dire il vero Lila ci ha abitato, per un periodo soffrendo, al contrario di Heidi, la nostalgia della metropoli. Gli amici di montagna "bubu-cicì-beebee" dicevano che dovevo partire, e il motivo era chiaro.
Lila è un animale di città.
Intendiamoci: amo la natura, la montagna, i boschi, gli animali... ma il vero incontro tra la mia indole e la garbata madre terra, coincide realmente solo... al mare!
Napoli m'è sembrata una buona scelta, quindi, benche a differenza di Trapani qui ci siano vele, e non la Velaia che mi fa amare quella striscia protesa tra due mari. Lo stesso monte dove s'appoggia Erice, che come il Vesuvio appare spesso avvolto di nuvole, là sembra l'Olimpo, e qui un vulcano.

Ma tant'è, lo è. E Napoli è nel mio immaginario quella cantata da Pino Daniele "mille culure, mille paure", mi affascina e mi spaventa. Forse per questo ho creduto opportuno venirci in gruppo.
Memore delle mie tendenze sovversive, ho cercato di saperne meno possibile, prima d'andare, per non farmi venire idee strane sul cambio itinerario... ma chi può fermare le voci di chi sa delle bellezze ascose, e ti instilla un tarlo, piccino, ma insistente "ma ci andate a S. Chiara? e Castel dell'Ovo? vai a vedere la Cappella di San Severo". Mi dico che non c'è niente di male a documentarmi solo un pochino, ma bada bene, senza comprare Cartine, per non pensare ad un percorso mio...solo una sbirciatina...

(Errore numero 1)

Niente di più... vabbè, solo un pochino tanto per contestualizzare, ma poi basta: se vado col gruppo, devo fare gruppo! Lo chiedo, però, se ci si va, e mi dicono che ci sarà un po' di tempo per visitarla, almeno una mezz'ora (mi pare poco, ma è meglio di niente). Così mi lascio portare attraverso le viuzze al Gambrinus, in piazza del Plebiscito, e autorizzata dai venti minuti per il caffè e dal fatto che ho parlato con tutti ma non conosco nessuno, mi faccio un giro e quattro foto in piazza.

Me ne scendo un momento a Castel Nuovo (Maschio Angioino) che avevo intravisto prima ("ma che ci sei andata a fare, ci passiamo dopo"" mente qualcuno...), e torno di corsa in ritardo netto di due minuti e trenta secondi sull'appuntamento. Insolito, per me, che sono sempre in anticipo; questo avrei dovuto coglierlo, come segnale, ma si sa, c'era tanto da vedere che io mi sono sfuggita! ;-)
 Castel dell' Ovo, che si raggiunge dopo una passeggiata lungo il mare, mi stordisce con la sua imponenza, e i suoi anfratti, assai più affascinanti del punto panoramico in cima, degno del tono della gita in quanto ha l'aria di quei posti dove si cerca d'arrivare senza vedere cosa c'è attorno.
Abituata a guardarmi alle spalle qualcosa la catturo...

... però mi sfuggono un paio di opinioni. "mah, non è che mangiare la pizza m'interessi poi tanto", dico ad Elle, una signora rotondetta e vivace con gli occhi-mare come Lila. Concorda con me; ma alla fine della lunghissima camminata per arrivare alla pizzeria più famosa di Napoli, mi viene un po' voglia d'assaggiarla QUI, la pizza più famosa del mondo. A Roma non mi piace molto, ma si sa... bisogna mangiarle sul posto le cose, per assaporarle bene!
Per assiurare che la pizza sia buona, qualcuno racconta che c'è stato anche Clinton, a mangiare in questo posto; però, si sa, gli americani mangiano di tutto!
Per fortuna, sono entrata a vedere i locali e sono bui e privi d'aria, la coda è talmente lunga che forse potremmo avere una pizza per cena, quindi ci spostiamo, secondo il piano B (emerge finalmente il lato buon-organizzatore del capogruppo), ad un locale di fronte (il Trianon) dove la pizza è davvero uno spettacolo, sopratutto perchè riesci a vederla.
Il locale è aereato e pulito, allegro con le sue maioliche gialle, e mi fermo volentieri. Tanto più che il tabacchino a fianco mi assicura che la Cappella è lontana; quindi, placando lo spiritello ribelle che credevo lasciato a casa, stabilisco che non val la pena scapicollarmi a cercarla, tanto ci si va dopo.

(Errore numero 2)


ore 15,30
Per farla breve. Il pranzo mi piace, riesco a parlare con Emme ed Emme di tutto fuorchè di me (le lascio parlare ed io mangio lenta la deliziosa pizza. Continuo a prediligere la pizza romana ma questa, QUI, è davvero buona), e alle 15e10 imbocchiamo via Forcella.
Incredibile ma vero (non credevo che dei montanari mangiassero così tanto) dieci minuti dopo si fermano ad una pasticceria. Famosa, e va bene, ma a me è rimasta solo la fame estetica, che fin qui non s'è saziata. Così, "tanto per", chiedo ad un commerciante dove sia la famigerata Cappella, che mi pare potrebbe essere da queste parti, forse appena un po' più in là... sussurra lo spiritello interiore che senza cartina è un po' smarrito. Ha visto i segni,  la statua del Nilo, per esempio...
Il vendiitore di cravatte mi dice che è l'agonata meta è qui, appena voltato l'angolo (ahimè, non era poi così lontana dalla pizzeria!!! geme lo spiritello affamato di bellezza).

Aspetto pazientemente che ci si avvii da quella parte, ma il capogruppo, dopo abbondante tempo occupato a conteggiare chi torna col treno delle 17e30, s'avvia... nella direzione opposta.

"ma... e la cappella?" mi sfugge dalle labbra.
"E, beh, non c'è tempo. Non ci andiamo. Andiamo a Santa Chiara".

Siamo a Spaccanapoli. E qui rinasce Lila Spaccamontagne, Lila Spaccatutto-anche il gregge. Pecora nera, più che agnello, Lila richiede i soldi del treno, e con la faccia contrita e il cuore in tumulto, dice no.
La paura dev'esser stata digerita con la pizza, e il mio volto intagliato dal tempo rifiuta il velo del Cristo. Scopre la prima materia, che non è l'uomo, ma l?Uomo che v'è nascosto sotto, e volta le spalle a tutti.
Salutando, s'intende.

"Allora, grazie"
Me ne vado. Senza sapere dove sono, ma solo dove vado. Senza sapere come tornare a casa,e mi preoccuperei se non fosse che, prima d'uscire, ho messo le scarpette rosse...


..."la divina commedia" rispose Lila Due passi sul sentiero dorato dal sole, e Lila si sente chiamare, come Dante alle soglie di Eden.

 Elle, l'altra con gli occhi azzurri, mi segue.
Io la sua Beatrice (m'ero stampata una picciola guida) nella Cappella di cui non sa nulla. Al confine tra io e noi, sul frammento di pavimento labirintico di fronte alla Tomba del Principe di San Severo, lungo le vie di un'opera alchemico-religiosa che conclude la piccola trasformazione che era in germe all'inizio del Viaggio, ci troviamo a contemplare le vertiginose meraviglie del Disinganno e della Pudicizia. L'amor Divino e il Cristo velato, che si giace al centro come il mio cuore, in centro al petto, battendo contro il sudario sottile del suo e del mio pericardio.

Mio Paradiso sarà poi il chiostro di Santa Chiara, in cui trovo pace e silenzio, nonstante Elle si faccia scattare quindici foto con le colonne ("ma le hai prese le colonne?" si.  "fammene una qui, che si vedono tutte" si vedevano già prima... "fammene una con queste due" ma te l'ho appena fatta...); lascio in sua balia il giovane custode (per le altre foto con due colonne -di nuovo-, con tutte le colonne, tutte le colonne e tutti gli agrumi, ecc.)

La mia anima un po' altera e solitaria è ormai tornata fuori, prepotente e assolutista mi mantiene in relativo silenzio, per avviarci poi dolcemente nella spoglia e magnifica chiesa gotica e via di qui, non senza una breve tappa alla chiesa del Gesù Nuovo (davvero Baroccocò!) che mi fa scaturire il primo pensiero logico della giornata:

"quale è la via più breve per la stazione?"
Ore 18.07
Ci arriviamo, ovviamente.
Lila d'altronde non si perde mai veramente e, di nuovo un po' snob nella sua giacchina firmata (di quelle cose rigorosamente prese a saldo e che si mettono per la bella figura) e con carta alla mano, alle 17e50 saluta Elle alla biglietteria e batte i tacchi rosso Freccia (di intercity per un po' ne ho avuto abbastanza e non parliamo del regionale!).

E torna nuova mente a casa.

sabato, marzo 27

La via del Bello (4)

Per rimanere ancora nella Bellezza della forma mi viene in mente un esempio, calzante con il filo fin qui seguito per dare uno sguardo oltre il formale. e secondo me sintetizzante buona parte di quanto ho scritto. È quella che possiamo considerare l’apologia di Cyrano:

Rossana a Cristiano:
“perdonami di averti nella mia frivolezza offeso
con l’amarti sol per la tua bellezza,
poi l’anima riscosse più successo
t’amai anima e volto per entrambi
(C.:- e adesso?)
R.: -e beh tu prevalesti su te stesso sicché
adesso amo soltanto l’anima che c’è in te
La beltà con cui m’innamorasti tu,
ora ci vedo meglio e non la vedo più
(C:- no..!)
R.:- Dunque ancora dubiti che ciò possa succedere?
(C.:- Rossana…!)
lo capisco tu ancora non puoi credermi, amore
(C.:- non è se è vero oppure no,
voglio essere amato soltanto…)
R.:- soltanto per ciò che gli altri
amarono in voi fino a quest’oggi?
Lasciate che un amore a due dimore s’appoggi
(C.:- no, molto meglio prima!)
R.:- ma non capisci niente!
Ora ti amo di più, più intelligentemente!
Per quello che ora sei, m’intendi, ti si adora
E se il cervello cede… t’amerei ancora.
Pensa se la bellezza ti lasciasse del tutto
(C.:- beh questo non lo dire)
si, l’ho detto
(C.:- bru-tto?)
si, anche brutto, lo giuro!”



Si sa che l’amore di Rossana è stato ingannato ma, appunto, dalla forma (a livello cosmico leggibile come Maya), che lo sappiamo è impermanente. E se nella storia Cyrano e Cristiano nella forma sono divisi, essi rappresentano a nostro parere le due anime in ciascuno di noi (la dualità, appunto), che l’amore di Rossana, se non lo può fisicamente riunisce nel sopraformale leggendoli come uno solo (Quello).

E questo, tornando più seriamente a Plotino, è la capacità degli uomini divini (cioè di coloro che riconoscono la propria divinità ) che penetrano con lo sguardo lo splendore di lassù superando le nuvole e la nebbia terrena (bello e brutto) e godono alfine di quel luogo famigliare, come un uomo che torni dopo tanto vagabondare alla propria patria ben governata. Là arriva il filosofo, l’Amante per eccellenza secondo Plotino, che “soffre le doglie del parto” ed innalzandosi fino alla causa della bellezza nell’anima giunge a ciò che gli è anteriore “quel Primo che è Bello in Sé per Sé. Arrivato qua il suo dolore cessa, non prima”.


A tutti un augurio di una giornata meravigliosa!

martedì, marzo 23

La via del Bello (3)

(continua dai post precedenti, con una dedica di mattino ad enne )



Non può sfuggire a questa analisi la memoria di qualche altro simbolo associato alla bellezza; nella mitologia è Venere, la dea dell’amore, che la incarna. E qui si scorge nuovamente il filo che ricuce l’apparente separazione da Quello. Se ci percepiamo come emanazioni di un dio (qualunque nome gli attribuiamo) siamo a tutti gli effetti figli suoi, cioè dell’Amore che egli spande in se stesso, per Sé, da cui nessuno di noi può essere considerato estraneo. Siamo quello stesso Amore, che non possiamo paragonare a quello che chiamiamo amore in terra e che in genere identifichiamo con il nostro piacere personale e con la nostra egoica soddisfazione. I più confondono un senso di proprietà e quind’anche di appartenenza nei confronti dell’altro con il più sublime senso che porta ad amare Dio attraverso l’altro/gli altri; in tal modo si può perdere il discernimento rendendosi schiavi delle pretese altrui, pensando che adempiere il desiderio di altri sia sinonimo di amarli[1].
Non sempre è così, anche se solo i grandi saggi, o la cosiddetta provvidenza, possono veramente Conoscere il bene supremo e compierlo (coscientemente). In tal senso il discorso si complica in quanto si intende che nulla di quanto facciamo può essere inteso come ‘sbagliato’ (Peccato) se non nell’ordine morale che ci siamo dati come uomini, che è la legge che serve a guidare verso un Bene superiore che non possiamo ancora vedere. 

È in questo senso che possiamo leggere come bellezza morale il volere il bene altrui; qui si scorge il sottile confine fra il volere questo bene in modo veramente disinteressato (per Amore) e la forzatura di questo atteggiamento che talvolta fa confondere le pretese dell’ego che si vuole santo e giusto (e intanto si aspetta gratitudine e riconoscimenti), con la nostra effettiva aderenza alla Volontà (legge armonica universale-Amore). In termini pratici questo forse non fa la differenza per chi riceve, ma la fa nello spazio di conflitto che si crea in noi stessi, per quel non aderire coscientemente, nel profondo, con i nostri comportamenti esterni; in questo spazio si insinuano il dubbio, il ripensamento, la voglia di rivalsa, quel “dopo tutto quello che IO ho fatto per lui/loro/ecc…” che, melma sul fondo del lago, sono pronti appena smossi ad intorbidare la superficie luminosa che si mostra all’occhio.


 Sia chiaro che qui si vuole sottintendere la necessità di un lavoro onesto e continuo su se stessi per liberare la luce dall’involucro, per prendere coscienza di sé e dei propri pensieri, e non si vuole asserire che sia un errore cercare di portare benessere agli altri; così nascono infatti le forme di beneficenza (fare bene) che tanto peso hanno in certe istituzioni.
Fare Bene è proprio di chi è Giusto, ed il Giusto è in Armonia con la Volontà quindi compie le proprie azioni non come ‘proprie’ ma come atto della Volontà stessa, facendo in ciò il Bene, con Amore ( si trova un bell'esempio di ciò nel film Cagliostro: quando spinge un mendicante a raccogliere da sé una moneta).


Sul piano forma-le di preparazione dell’involucro, inteso sia come guaina fisica che psichica ecc l’uomo ha ereditato/preparato le ritualità; il Rito è un canalizzatore, un ordinatore della forma atto a creare armonia e bellezza, tramite il compimento di determinati gesti che sono sfrondati dagli orpelli del (vivere solo sul) piano “della pelle” per formare invece quella Bellezza che è, anche solo per lo spazio di un gesto. 

L’importanza di questo strumento (ritualità) e del lavoro su di sé é ancor più evidente a chi sia a conoscenza del fatto che ciascun atto da noi compiuto riverbera nell’universo, e mi piace ricordarlo, al di là dello spazio e del tempo da noi percepiti che sono ancora parte del gioco divino (espresso dal termine sanscrito: lila), e come tali limitati ma tutto sommato comprensibili. Per arrivare all’incomprensibile, alla ragione umana, basta cominciare a “volgere lo sguardo verso l’alto”, alle conquiste della fisica moderna (teoria delle superStringhe, Vibrazione fondamentale dell’universo o nota Fondamentale, che forse ha qualcosa a che fare con quella Voce che attraverso il Verbo ha creato l’uni-verso) o naturalmente alla metafisica (orientale, alchimia, metafisica occidentale).

L’ammirazione dovuta al mondo trova quindi la sua ragion d’essere nel suo essere immagine del creatore. Il bello è desiderabile in quanto essere[2].

Tutto questo si legge riflesso nel paragone che Plotino fa con gli Amanti: finché l’amante si attiene al sensibile (piano della forma) egli non ama ancora, ma quando genera in sé una immagine invisibile (dell’amato) allora nasce l’amore. Qui possiamo anche riferirci brevemente alla ‘venerazione’ (bakhti - per gli indiani) che ci fa creare una immagine della divinità tramite cui crediamo di adorare la divinità stessa o  come si diceva, di amare un altro pensando che sia l’amore per qualcuno a renderci degni, e non il fatto in se di provare Amore;. 
Il passaggio evolutivo, dovrebbe essere di portare (quindi ri-conoscere) noi stessi nella divinità (Amato). Mutare noi stessi in essa perdendo la forma (ego). E infatti Plotino suggerisce che se l’amante comprende che bisogna risalire a ciò che è ancor più spoglio di forma potrà risalire a Lui, perché l’amore sentito (dall’io) non è che un fioco raggio di una immensa luce.
“.. bisogna ammettere che la natura prima del Bello è senza forma” (VI 7-33 34,35)[3]
“è perciò necessario che, insistendo nella traccia che di Lui rimane si cerchi di comprenderlo mediante una ricerca razionale, e dopo (…) abbandonarsi (…) e trasformarsi splendido di pensieri da veggente in visione (nella visione di un altro contemplante che viene di lassù).
Ma come può uno essere nel bello senza vederlo?
Certamente finché uno vede il bello come altro da sé non è ancora nel bello” (V 8, 11 15-20).


[1] Penso in tal senso a relazioni emotive particolari, quando magari, credendo di far felice qualcuno non diciamo “no” a qualcosa che magari fa male a noi stessi, o solo per timore che gli altri ci allontanino. Gli esempi sono tanti, ma naturalmente non si vuole qui intendere di negare a chi ha bisogni primari quanto gli spetti di diritto.
[2] Prendiamo come spunto di riflessione su quanto detto alcuni stralci delle Enneadi di Plotino:
“In quanto è principio di bellezza, Egli rende bello ciò di cui è principio, e lo rende bello ma non in una forma, e il generato stesso è senza forma, benché in un altro senso abbia una forma. Quella che viene detta forma è soltanto “forma di un’altra cosa” ma in se stessa è amorfa. Dunque soltanto ciò che partecipa della Bellezza riceve una forma, ma non è la bellezza”.  (V, 7, 32 -30,35)
“l’idea che è senza forma, in quanto idea è sempre bella anche se tu la vada spogliando di ogni forma …  la realtà di ciò che è di più alto e desiderabile consiste in ciò che è senza forma… (VI 7, 32).

[3] Se dunque è amabile non la materia ma ciò che viene formato dalla forma, se la forma che è nella materia deriva dall’anima e se l’anima è tanto più desiderabile quanto più è forma (della Bellezza n.d.au); se l’Intelligenza è forma più dell’anima ed è perciò molto più desiderabile, bisogna ammettere che la natura prima del Bello è senza forma” (VI 7-33 34,35

sabato, marzo 20

Ritorno a Bracciano (anzi, ad Anguillara)

Tra le sponde dei due laghi che non si vedono, se non nel ricordo e nell'immaginazione, l'isola al centro di cui mi trovo ad apprendere è l'Avalon del mio cuore.

primo e secondo giorno
E' un nuovo weekend dedicato alla scuola di magia, e come da copione al mattino esploro le possibilità con cui gestire le mie reazioni. Sono razionale, questo è il primo problema.
E so già che l'argomento da affrontare è di quelli che amo meno.. e questo è il secondo problema.

Sulla sponda est, sotto l'ombra di Anguillara, l'aurora passa lenta, nel suo vestito grigio appena spruzzato di bianco; nebbia in collina, e zucchero nell'aria per addolcire l'idea di cominciare. E tutto sommato come al solito la vita mi sorprende, così, dopo l'esame mattutino, all'arrivo del nuovo insegnante di difesa contro le arti oscure (l'ignoranza e l'approssimazione...il che significa che si parla di anatomia) la mia voglia di fuggire a casa ammutolisce.
Mi tiene incollata alla sedia per tre ore,  combattendo una vescica ribelle che mi vorrebbe trascinare fuori dell'aula, e le associazioni libere della mente.
"Little John diceva...", spiega il pasionario, l'uomo che negli occhi ha parte della conoscenza che anelo, nelle mani la bravura che m'apparterrà e forse una certa presunzione, che sarebbe meglio non condividere.
 La prima volta l'ho passata indenne. Forse il nome m'era sfuggito mentre la voce rompeva i gusci alle informazioni e me le serviva.
Tuttavia, alla terza volta, la nomina di quello che poi diverrà il povero Little John, la canzone di  Disney mi esplode come un mal di capo, a tutto volume nella mente... e mi domando che fine abbia fatto Robin Hood.
E' lì, davanti a me, a difendermi dall'ignoranza (ma non dalle risa) e rubando la conoscenza dalle fonti infinite che scorrono nella tradizione osteopatica, mi conduce dalle vertigini dell'embriologia al suggerimento, o meglio alla memoria, del corpo come insieme di energia, più che di cingoli meccanici.
E il primo problema, direi, è risolto.

Da tempo ho scoperto che non sono più 'innamorata' (platonicamente, sia inteso) del mio Insegnante, quello che, per così dire, mi ha portato qui; e se altre volte il disinnamorarmi mi ha allontanata dalle cose e dalle persone, stavolta provo per gioco a cavalcare l'energia, come se fossi davvero una strega, e quella, la mia scopa.  Mi volgo verso l'amore vero per queste cose, avviaando la ricerca di un collegamento.. un varco, un passaggio tra l'una e l'Altra cosa.

M'inoltro nella storia e nel corpo umano con la mente e il cuore, scoprendo che Littlejohn si scrive tutto attaccato... e Robin Hood altri non è che il mio guerriero, che allo specchio aveva visto una fanciulla.

Sul finiredel giorno successivo, quando la quantità di informazioni sovrasta la possibilità di contarle già a memoria e si sospende il chiaccherar del cuore... mentre torno a casa avvolta in una bolla di pioggia, da destra mi colpisce il fiammeggiare dietro la cortina d'acqua, del sole al tramonto...
...e nella mente ritorna una canzone.

mercoledì, marzo 17

La via del Bello (2)


Sul piano della ricerca
Una delle note più interessanti trovate durante il percorso di ricerca sulla Bellezza è stata la lettera ebraica Tav: valore 400, ultima lettera della aleph beth (trentaduesimo sentiero che sta tra Malkuth e Yesod) termina la catena delle lettere e le “sigilla”, come sigilla la parola Emet, Verità (termine  considerato alla stregua di un nome di Dio). Associata al centro della Radice  (1° chakra) ci indica precisamente che nel cammino di Risalita verso la Fonte della creazione, la Verità deve essere il fondamento dei nostri atti, permeare le nostre azioni; canalizzare le forze che stanno alla base della vita sulla terra prima su tutte quella energia sessuale che presiede alla generazione della vita e che va usata come veicolo di desiderio prima di tutto verso Dio stesso, per farsi invece, nel rapporto con gli altri, canale per la fusione che annulla l’ego per condurre al Sé, quindi alla comprensione dell’altro in noi stessi. Per condurre all’Amore inteso secondo la storiella sufi dell’uomo che, bussando alla porta dell’amata, potrà entrare quando non sarà più “io” (qui non c’è posto per me e per te), ma l’amata stessa: “- chi è?- -sei tu-”.
La parola emet contiene in effetti la parola at, cioè ‘tu’.
Tav è il “luogo più vicino alle forze dell’altro lato” [1] è simbolo del fatto che se la consapevolezza resta intrappolata nel centro più basso vive in esilio permanente, ma come spesso accade l’inizio e la fine coincidono così ha anche un significato positivo[2]: è legata alla santità ed al riscatto delle potenze inferiori perché siano usate come tensione positiva per la risalita alla Sorgente di Luce infinita.
Tav è per la Cabala la lettera del mondo del Tohu (caos) termine che inizia proprio con Tav, il che suggerisce di osservare come all’inizio del nostro lavoro ci troviamo alle prese con le rovine dei mondi precedenti, le cose incomplete o mancanti delle nostre incarnazioni passate o semplicemente della vita “precedente” l’iniziazione in cui siamo ancora inconsapevoli. Iniziazione che qui intendo  significare il momento in cui prendiamo coscienza della luce divina che è in noi, in qualunque modo avvenga, anelando alla ricongiunzione con essa (con necessario ‘sgrossamento’ dalla materialità, per ritrovare la radice, la statua nel blocco di marmo).
Collegato a Tav troviamo un ‘dono’: Chen, la grazia ma anche più semplicemente la Bellezza. Si tratta inizialmente della bellezza e dell’armonia insite nella forma fisica, nella materia, che vengono a rivelarsi quando si smette di guardare con gli occhi critici e separativi della mente solo razionale per osservare con entrambi gli occhi e percepire così il miracolo della ‘cosa sola’. Rapportarsi con il mondo fisico diventa allora fonte di gioia e non di oppressione e frustrazione, situazione che si lega a doppio filo anche con la capacità di accettazione dell’esistenza, del nostro essere come manifestazione e dunque agente della sperimentazione dell’Essere che si conosce.
La Grazia (bellezza in noi) permette di riconoscere l’impronta (tav) lasciata in ogni essere dai mondi superiori, che si manifesta poi nel forma-le attraverso la bellezza che deriva dalla simmetria, dalla capacità di espandersi in tutte le direzioni dello spazio.

Si dice “tav fa vivere e tav fa morire” e se la morte sta laddove non riusciamo a scorgere la completezza e l’armonia dell’esistenza, nella percezione di tale Bellezza riscopriamo la Vita che si espande e ci pervade; così possiamo riconoscere la bellezza anche in una forma (o persona) non rispondente ai canoni sociali (della bellezza), ma che avendo conquistato se stessa e vivendo la propria luce e quindi l’equilibrio e la simmetria che generano armonia, irradia quella Grazia che ci fa sussurrare “ella\egli è bella” senza dubbio alcuno sul contesto formale in cui avviene la manifestazione, perché  attraverso chi abbia raggiunto tale stato possiamo riconoscere non il vaso, ma l’argilla ed ancor più la mano del vasaio.
Da qui la citazione di Plotino, per sottolineare che questo processo è possibile quando bellezza e simmetria sono insiti in noi stessi, altrimenti sarebbe come guardare un bellissimo quadro attraverso occhiali sporchi, che ci fanno scorgere ombre e riflessi dove non sono scambiandoli col quadro stesso. A tal proposito cerco ancora supporto nella cabalà: nella parola Khiur, bruttezza, che può esser letta anche Ki Or ”poiché è pelle”.
Arrestarci al formale allora è proprio questo, vedere non altro che l’involucro, la pelle!



[1] Tav ha volore 400, e il 400 lo troviamo nel racconto di Esaù che va incontro a Giacobbe per ucciderlo, con 400 guerrieri, ma anche 400 anni di esilio in Egitto.
[2] 400 sono gli stati di piacere beatifico riservati ai giusti ed agli illuminati.



Un allegro e sncero benvenuto ai nuovi lettori. A tutti l'augurio di una Bella giornata... e la preghiera di scusarmi se in questo periodo sono un pochino assente, non vi visito,ma vi penso, un po' incastrata tra lavoro e la scuola di Magia, che mi ha sottratto lo scorso fine settimana e di cui sto preparando il ricordo.
C'era una volta una pubblicità, su un manifesto, che diceva qualcosa tipo: fuori infuria la tempesta, il cielo è cupo, (aggiungo: hai l'anima ferita), ci sono tuoni e fulmini... ma tu, continua a sorridere!
La frase finale mi accoglie ogni mattina, quando, dopo aver realizzato d'essere ancora viva, accendo il cellulare e ritorno del mondo.
Un abbraccio a voi tutti! 

lunedì, marzo 8

La cornice e il quadro, ricordo di donne


Nell'angolo della stanza, mentre cerco di capire le parole confuse che mi racconta, c'è l'immagine di questa donna. Una cornice, vuota. Racconta l'infinità di percorsi che la mente obnubilata ha percorso e dimenticato, come la strada stessa delle parole che comprende forse, ma non sa rimettere insieme. A volte, quasi casualmente ne esce una risposta coerente... "guarda come mi sono vestita oggi, questo maglione è scuro come il cielo"
"dove l'hai comprato?"
" Da M&Co, lo conosci?" incalzo io, testando il punto di non ritorno; quello dove lei di nuovo mi guarderà interrogativa, o chiuderà gli occhi rendendosi conto che, più oltre di lì, non può. Lo sa. La vedi se tiene gli occhi aperti; la sua mente è come una mosca cieca che sbatte alla ricerca del senso d'uscita, ma le vie neuronali finiscono tutte in un baratro, o in un groviglio di spine.
"Si", sibila lei, interrogativa però. Come quando, cercando di dare un senso alle sue conversazioni biascicate, le do delle risposte universali come "ah" e "davvero", sperando che lei creda che io abbia capito quello che dice. A volte mi guarda, però, quasi irata, come se capisse che non ho afferrato una sola delle parole che non ha pronnunciato ma solo mangiato e confuso, ed esposto come un frammento d'una digestione imperfettta.
Sul muro c'è una sua foto sorridente, sulle pendici di un monte, quando nella cornice c'era il quadro del suo essere presente al mondo.
La voglio ricordare così. oggi. Con la cornice attorno al sorriso.

C'è qualcosa che mi spinge irrefrenabilmente a soccorrere questa donna. I criteri ci sono tutti, così le fisso l'appuntamento già per domani, facendole saltare l'attesa di qualche giorno in genere necessaria ad iniziare il trattamento.
L'eradicazione del seno è ancora più evidente, in quanto l'altro è abbondante, per costituzione e per le tre maternità, di cui l'ultima ha quasi coinciso con l'inizio della malattia. Diagnosi ad un anno dai primi fastidi evidenti, il che, mentre lei racconta, mi fa salire un senso acido in bocca, peggiore di quando esagero col cioccolato. Perfino io avrei saputo cos'era, quel capezzolo rientrato, quell'eczema devastante della mastopatia carcinomatosa. Quando alla fine il dermatologo la manda dal chirurgo dermatologico, e quello dal senologo, e quello dall'oncologo, e questo praticamente quasi subito in sala operatoria, è già quasi troppo tardi. Metastasi al fegato.
Mentre percorro il suo braccio gonfio con il ritmo lento del massaggio le ho già spiegato i rischi che si corrono, e lei li ha accettati con la speranza di stare meglio.
Io ripeto ad ogni pressione quel che mi disse l'oncologo un'altra volta, cioè che forse è meglio una qualità di vita migliore, che qualche giorno in più vissuto male.
Gli occhi di lei sono gli occhi grandi di paura di GiEmme, stessa operazione, ma su entrambi i seni. Quelli di devastante vuoto e impotenza di Giò, infermiera, che sa anche farsi da sola una stima del tempo che rimane.
Quando nelle nostre chiacchere da lettino questa ragazza, di cui la mente non vorrebbe ricordare il nome perchè è una donna morta che cammina (parafrasando un certo film), mi dice che la scintigrafia ha mostrato una metastasi alle vertebre, mi ricordo che ricordarla non mi può fare male, ma rende onore a lei che lotta ancora per trovare la strada per ritornare a casa dai suoi ragazzi ,con un sorriso non devastatato ma sereno, e nessuno le ha dato le mie scarpette rosse...
Tengo di lei un immagine, ma senza cornice. Così che non si possa appendere al muro del dolore che incontro nessuno dei suoi sorrisi veri, che non conosco, ma resti una sua traccia per non dimenticare.

Queste, e molte altre donne che soffrono, si perdono, si lasciano andare via o semplicemente non ritrovano la strada sono dipinte sui muri delle strade del mio ricordo, nei quadri e nelle foto appoggiate sui comò polverosi.
E ci sono molte altre donne, che con coraggio e passione lottano per i propri figli, scacciano il lupo e i mostri sotto al letto, aprono la finestra per far entrare il sole, prendono le difficoltà della vita e le spazzano da est ad ovest, dove muoiono assieme al sole al termine del giorno.

A tutte, a quelle che conosco o no, che leggo e che mi leggono, che cedono o che resistono, che amo e tengo vicino, o che preferirei non incontrare più...
a tutte va il mio augurio per questo giorno, la cui significanza commerciale non dovrebbe coprire l'idea, che come nelle ricorrenze accade, può essere il primo giorno di una nuova magnifica avventura!
A tutte voi... a tutte noi... a volte avvolte in un quadro arrotolato, in una foto incorniciata, in una cornice senza immagine per non turbare i ricordi, o in un ricordo senza cornice per non turbare il quadro...
...buon viaggio!

domenica, marzo 7

La via del Bello (1)

Sottotitolo: un po'(st) diverso...


dio ha quattro qualità ed è quando le sviluppate che potete comprenderlo. Esse sono: amore, bellezza dolcezza e splendore. È sufficiente coltivare l’amore per ottenere le altre tre. Quando siete pieni di amore per il divino immanente in tutta la creazione, quella è la fase della bellezza; quando siete immersi nel mare dell’amore Universale raggiungete il culmine della dolcezza; quando la vostra mente perde la sua identità e si fonde con la mente Universale, allora c’è splendore indescrivibile”. (Sai Baba)

LA BELLEZZA DELLA FORMA:

“l’occhio non vedrebbe mai il sole se non fosse simile al sole, né l’anima vedrebbe mai il bello se non fosse bella” (Plotino I 6,9-30,32)

A voler parlare di un argomento tanto sfuggente, è necessario soffermarsi, per prima cosa, sull’apparenza della manifestazione, quindi su quella parte di Dio (o come lo si voglia chiamare) che l’occhio percepisce scambiandolo con il Vero.
Ciascuno di noi ha un concetto diverso della bellezza, e se possiamo rinvenire nella letteratura (e/o arte) dei canoni (la Regola Aurea, per esempio) questi hanno, fino all’era moderna di confusione, una attinenza con dei principi supremi; dunque con dei dettami che hanno lo scopo di manifestare l’armonia percepita. 
Questo non porta all’affermazione che sia necessario un appiattimento, un riprodurre istericamente solo cose riconosciute “giuste e perfette”, ma piuttosto l’applicazione di determinati principi comporta un mantenimento di una nota armonica, che nella vita di ogni giorno si rifletterà nelle azioni compiute. 

Il concetto che ciascuno di noi applica alla maya (#), e che ci fa affermare che una cosa è bella o meno, non è discutibile, ancorché si ricordi che “la Bellezza è negli occhi di chi guarda”,; il detto è all’apparenza sciocco, e scontato, ma a voler leggere approfonditamente si riallaccia al concetto espresso con le parole di Plotino. 
Su ciascun piano è così: se riconosciamo bella una persona o  una cosa è perché per il nostro livello percettivo essa od esso rispecchia in una qualche misura la Bellezza suprema, per il grado appunto che ci è dato di comprendere. 
Secondo la psicologia amiamo negli altri qualcosa di noi, che ci appartiene e che ci piace in noi stessi;  parafrasando il concetto, amiamo negli altri quel riflesso di luce che è già nostro!  se ne evince che le sensazioni di felicità che proviamo con/attraverso le persone amate, sono nostre, nascono dentro di noi e non sono dovute all’altro ma a noi stessi che riusciamo a manifestare quella luce, quell’amore che è già in noi.

Osservando un tramonto ciascuno può avere una emozione o percezione diversa, a seconda del punto di vista con cui si stia guardando. Un animo romantico ne percepisce il momento struggente ed incantevole, il pittore ne coglie i colori che sfumano la terra in un incendio, l’innamorato contemplerè la perfezione d'amare in quel momento atmosferico che tanto piace ai poeti. 
Qualcuno meno sensibile, o forse solo oggettivo, di fronte ad uno spettacolare tramonto romano, di sfondo alle superbe architetture antiche potrà, osservando i colori cangianti, osservare che tanta magnificenza è frutto… dello smog! 

Ecco che quasi viene a crollare, come dice Voltaire, qualsiasi pretesa di parlare della bellezza, così fuggente ed ingannevole;  se non fosse che  resta ancora quella che è permanente: il Bello, la Bellezza per eccellenza, che è raggiungibile quando non guardiamo più con gli occhi creati, ma con quelli della Creazione.  Quando guardiamo con la percezione o meglio con la Conoscenza dell’Essere, di Essere un tutt’uno con Quello, che è percepito, e che sta creando le forme innanzi a noi.
Tale bellezza la possiamo sperimentare attraverso lo stato orgasmico di unione con l’altro... quando tutto esiste ma allo stesso tempo non ha importanza in quanto evento a se stante ma come tratto del disegno di coloro che si uniscono;  su qualunque piano tale unione avvenga, benché l’unione completa con ‘Dio’ venga in genere chiamata estasi. 




(#)  MAYA (dal sanscrito). Letteralmente significa "illusione". È la forza cosmica che rende tangibili ai sensi tutte le cose che, in realtà, sono solo un insieme di atomi ed elettroni.
Nell'Esoterismo si intende per "reale" non ciò che tocchiamo o vediamo bensì ciò che è immutabile ed eterno. S'intende invece con Maya (illusione) tutto ciò che è soggetto a cambiare per causa di decadimento o di differenziazione e che presenta un inizio ed una fine.