giovedì, agosto 27

Solo un'ora e mezza...

La valigia è pronta dopo solo in un'ora e mezza, e dopo, caso che ultimamente si fa più frequente, si è chiusa al primo tentativo.
Lo ammetto, l'ho riaperta, ho piegato di nuovo le cose e sono riuscita a farci entrare anche un'altra maglietta, probabilmente quella che non metterò. Ci sono di sicuro un paio di pantaloni di troppo, ma non sono i jeans, e che volete... i pantaloni di seta ingombrano poco e potrebbero fare la loro figura, anche un poco acciaffati. L'importante sarà far notare che sono in moto
Bev per l'occasione è riuscito a fagocitare, nell'apparentemente piccolo bauletto, anche il filo della corrente e la lampadina. Libri nel vano sottosella, una giacca antipioggia, carta di giornale (mio padre dice che non si sa mai) e le scarpe. Insomma, pare che ci sia tutto.

Così eccomi qui, ad apprestarmi ai saluti pre-vacanzieri, con l'aria di una che resterà qui oltre domani, perché non mi sembra ancora vero.
Con l'aria di una che, pulisci, butta, netta, è riuscita per una volta a contenere le cose all'indispensabile.
Va bene, quasi.

Che sia infine raggiunta una certa capacità di sintesi?

Respiro. Una inspirazione breve, un'espirazione lunga.
Meno atti, in un minuto...

Forse si.

martedì, agosto 25

pensieri incidentati del mattino

non sarta, ma rifinitrice.
Suggerisco alle persone come sitemarsi il vestito addosso. Poi li guardo, e sembra che indossino qualcosa che appartiene a me.

Specchio delle mie brame, l'umana specie che mi si raccoglie attorno è la mia storia e mi racconta... della sua storia.

Talvolta, a guardar bene, il re è nudo.

domenica, agosto 23

Gracias a la vida (Violeta Parra)

[1965]
Parole e musica di Violeta Parra

Gracias a la vida, que me ha dado tanto
Me dió dos luceros, que cuando los abro
Perfecto distingo, lo negro del blanco
Y en el alto cielo, su fondo estrellado
Y en las multitudes, el hombre que yo amo

Gracias a la vida, que me ha dado tanto
Me ha dado el oído, que en todo su ancho
Graba noche y día, grillos y canarios
Martillos, turbinas, ladridos, chubascos
Y la voz tan tierna, de mi bien amado

Gracias a la vida, que me ha dado tanto
Me ha dado el sonido, y el abecedario
Con el las palabras, que pienso y declaro
Madre, amigo, hermano y luz alumbrando
La ruta del alma del que estoy amando

Gracias a la vida, que me ha dado tanto
Me ha dado la marcha, de mis pies cansados
Con ellos anduve, ciudades y charcos
Playas y desiertos, montañas y llanos
Y la casa tuya, tu calle y tu patio

Gracias a la vida, que me ha dado tanto
Me dió el corazón, que agita su marco
Cuando miro el fruto del cerebro humano
Cuando miro el bueno tan lejos del malo
Cuando miro el fondo de tus ojos claros

Gracias a la vida, que me ha dado tanto
Me ha dado la risa y me ha dado el llanto
Así yo distingo dicha de quebranto
Los dos materiales que forman mi canto
Y el canto de ustedes, que es el mismo canto
Y el canto de todos, que es mi propio canto
Y el canto de ustedes, que es mi propio canto.


Grazie alla vita
Che mi ha dato tanto,
Mi ha dato due occhi
Che quando li apro
Chiaramente vedo
Il nero e il bianco,
Chiaramente vedo il cielo alto
Brillare al fondo,
Nella moltitudine
L’uomo che amo.

Grazie alla vita
Che mi ha dato tanto,
Mi ha dato l’udito
Così certo e chiaro
Sento notti e giorni
Grilli e canarini
Turbini martelli
E lunghi pianti di cani
E la voce tenera
del mio amato

Grazie alla vita
Che mi ha dato tanto,
Mi ha dato il passo
Dei miei piedi stanchi
Con loro ho attraversato
Città e pozze di fango
Lunghe spiagge vuote
Valli e poi alte montagne
E la tua casa la tua strada
Il tuo cortile

Grazie alla vita
Che mi ha dato tanto,
Del mio cuore in petto
Il battito chiaro
Quando guardo il frutto
Della mente umana
Quando vedo la distanza
Tra il bene e il male
Quando guardo il fondo
Dei tuoi occhi chiari

Grazie alla vita
Che mi ha dato tanto
Mi ha dato il sorriso
E mi ha dato il pianto
Così io distinguo
La buona o brutta sorte
Così le sensazioni che fanno
Il mio canto
Grazie alla vita
Che mi ha dato tanto

mercoledì, agosto 19

un pezzo d'aurora (non ancora giorno)


Le persone, anche le più incredibili e forti, quelle che per tutta la vita avete guardato con un misto di timore e rispetto perché potevano fare ed avere tutto quello che volevano, bene, perfino loro talvolta crollano. (figuriamoci io!)
Il tonfo naturalmente è tanto più forte, quanto più in alto credono di essere arrivate; e una sorta di vertigine, le porta a credere che l’altezza dalla quale cadono sia infinitamente più grande che nella realtà.
Esattamente questo successe, quando alla tenera età di ventinove anni mi voltai, solo un attimo, giuro, a guardare quello che avevo fatto fino ad allora. La molla fu probabilmente l’ultimo incidente ‘amoroso’, quella caduta di stile alla quale mi aveva portato l’insistente, recente, convinzione che mi fosse necessario un compagno per procedere nelle avversità della vita.

Il risultato di quel piccolo movimento a ritroso fu catastrofico, non perché fossi in alcun modo pentita di quanto era accaduto, quanto perché improvvisamente mi apparve tutta una sequenza di anni all'apparenza vuoti, il cui bilancio si fece agli occhi stanchi, che anelavano comprensione ed abbracci, per un attimo totalmente negativo.
Bastò quell’attimo perché accadesse l’irreparrabile.

E’ stato come quando arrivi di corsa in cima ad una salita, pensando di trovare un pianoro sul quale gettarti a riposare, e scopri che la strada finisce in un precipizio… Ecco, a quel punto, di fronte al precipizio, metà di me cadde in fondo, e l’altra metà rimase immobile a guardare, piangendo la scomparsa della migliore compagna che avessi avuto fino a quel momento.
Già, perché io sono nata doppia, ed ho sempre cantato per quella metà del cielo che intravedevo a malapena, e che ho amato con tutto il mio cuore, fino a quel giorno.

Perché quel giorno arriva sempre, nella vita di tutti, perfino delle persone speciali. E "quel giorno”, per me, fu quando smisi di sentire. Si, sentire.
Ero talmente avvezza ormai, a farlo, che la perdita di tale capacità fu un lutto maggiore della perdita di un amico, cosa alla quale sono abituata. Gli amici, in genere, si perdono quando ti danno una coltellata nella schiena, o quando dispaiono lentamente dalla tua vita, perché hanno preso un’altra direzione. Tu non vuoi seguirli, o sei già andato altrove, e così ad un tratto ti trovi a parlare con la tua sagoma allo specchio, vagamente confuso perché la osservi da tanto tempo che non conosci più il volto che hai dinnanzi.
L'amicizia rifiorisce altrove ed altrimenti, ma a ben pensar l’unico che veramente ti sarà sempre incollato addosso, finché morte non vi separi, sei tu…
beh, allora guardare un estraneo allo specchio non fa molto piacere.

Questo accadde; arrivai in cima allla salita, ansante, e metà di me, quella che sentiva, cadde nel precipizio. Da allora sono stata abbastanza immobile, e per muovermi mi scopro a ripercorrere brandelli della mia vita, quelli che ricordo; per rammentare come sono arrivata a tanto.

Naturalmente quando tutto ebbe inizio, avevo appena scelto di venire qui, e di seguire l’arduo percorso che la forma umana impone. Avevo scelto la mia famiglia, la mia vita tutta, forse, o almeno le salite più grandi da affrontare. Non ci credete?
eppure è così. come un perfetto tour organizer mi ero appuntata tutto, proponendomi di visitare ‘il tradimento del tuo migliore amico', l’impressione di essere abbandonato, il dolore di non poter "risolvere i problemi” e altre ancora; proprio come adesso studio su internet l’itinerario del viaggio a Londra...

La differenza comunque, è la coscienza con cui si intraprende il viaggio. Ed allora ero cosciente. L’unica cosa che ricordo adesso, e che forse mi sostiene dato che altra fede non ho, è che il lungo viaggio si proponeva la scoperta di me stessa. E garantisco che non è poco, benché naturalmente io non sia l’unica partita con tale scopo.
è più semplice scoprire Londra, Parigi, il Marocco selvaggio...

Alla luce dei ricordi di cui mi faccio bagaglio, apprestandomi a scaricarli con questo scritto, tra gli obbiettivi prefissi all’inizio del viaggio vi era la conquista dell’indipendenza.
Fedele al motto ‘chi fa da se…’ una volta smarrita la coscienza del Tutto, ottenebrata dalle prime elementari istruzioni umane, mi lanciavo nell’esplorazone dei supermercati lasciandomi alle spalle mia madre, tranquillo osservatore di questo piccolo essere misterioso, e valicando faraglioni di scaffali.
Allora le immense piane che si stendevano dal reparto surgelati al banco del pane, invero più limitati degli ipermercati moderni, ai miei occhi infantili finivano col perdere interesse, fino a trasformarsi in un labirinto senza uscita, che immancabilmente mi scatenava un ondata di panico… e lacrime!

Come per tutte le tappe importanti della mia vita, leggasi soprattutto la mia nascita, non mi resta che chinare il capo e ringraziare colei che mi tirava immancabilmente fuori da quelle giungle spaventose per riporrmi nella tranquillità della sua salvifica presenza: mia madre.

Mio padre non l’ho dimenticato, certo, ed occorre rendergli onore, ancorché il suo intervento si esplicava, pur sempre con trionfali risultati, in tutt’altra maniera.
Tuttavia va detto che l’osservazione più stretta delle mie prime mosse nel mondo fu certo quella di mia madre, dato mio padre cominciò la sua carriera di assistente di volo proprio quando nacqui.
Così da sempre, sono stata abituata ad un papà dieci-giorni-al-mese ma non necessariamente il sabato e domenica (come quelli che hanno due giorni di riposo settimanali). Era un papà che c’era (presentissimo, sempre) e poi non c’era per niente, per qualche giorno. Nessuna attesa alle sei di tutte le sere, per vederlo e dargli il bacio della buona notte, quando varca il portone, come i pargoli di casa Bangs (Mary Poppins). Ma un papà che arriva ad ora di pranzo, riparte alle quattro del mattino, torna a metà pomeriggio.

Altre volte era a casa a vegliare sul telefono, in attesa della chiamata del fantomatico Ufficio Turni, che nelle mie fantasie di allora era una grande stanza piena di macchine, in cui qualche simpatico giovanotto, tutti accuratamente senza volto, sorteggiava da un bussolotto il personale di ‘riserva’.
Quando siamo stati un po’ più grandi, ci è stato permesso di partecipare alle staffette telefoniche per chiamare il suddetto ufficio, perché le cose non si svolgevano proprio come immaginavo, bensì c’era la possibilità, in un certo senso, di offrirsi volontari per lavorare.
Ora che la logica schiacciante del bisogno di denaro mi sospinge per ore fuori casa, pur di raggiungere la fine del mese, credo di capire un poco di più le motivazioni che lo spingevano a tanto. Eppure confesso che spesso desideravo che mio padre rimanesse a casa con noi, invece di non essere là per altri tre o quattro giorni.

Tutto questo, naturalmente, ha contribuito nel tempo a fare di lui l’eroe senza macchia, quello che, se ci fosse stato, mi avrebbe salvato. Non so nemmeno immaginare quante volte ho voltato le spalle a mia madre, al grido di “voglio il mio papà”, assolutamente impossibilitata ad immaginare che, se ci fosse stato, avrebbe anche potuto concordare con lei.
Oneri ed onori di chi resta, comunque. Mia madre, lei, c’era sempre. Quando mi facevo male, quando ero felice, e purtroppo per lei, più tardi, anche quando ero io a colpire brutalmente con la cecità del mio punto di vista umano.

Si può presumere, a questo punto, che queste siano le premesse della persona che sono diventata.
La tranquillità che mi ha donato la coscienza mi dice che questa è solo un’altra fase transitoria, uscita dalla quale, come tutte le volte che è già successo, non ricorderò niente. Forse mi resterà solo, nei momenti di noia o di bilancio, un vago ricordo dell’aver sofferto. Così come accade per le fasi di luce…

sabato, agosto 15

Stelle cadenti (la notte dei desideri)

angeli e demoni
Quante volte?
quante volte esprimi un desiderio con tutto te stesso, e poi resti in attesa, speranzoso, eccitato, curioso... poi deluso, poi...
poi un giorno, con improvvisa chiarezza, scopri che si sta realizzando; solo, non esattamente come volevi tu. Spesso in modo un po' doloroso, se non si tratta dell'augurio di gioia e felicità per qualcun'altro; la magia, infatti, non dovrebbe mai essere usata per se stessi, perché in tal caso assume delle pieghe inaspettate, scomode e direi 'didattiche'.
Oggi può sembrare che io racconti favole, ma si tratta di osservare la vita e farne esperienza.
Non voglio dire che non si debba desiderare niente (teoricamente è così, ma chi ci arriva!!!), piuttosto di imparare a volere e quindi esprimere un desiderio nel modo migliore possibile. Un po' come quando si va a fare la spesa.

Nessuno può più fermarsi di fronte al bancone e dire "scusi, mi da il formaggio?"
minimo devi specificare se vuoi emmental, caciotta, mozzarella, provola...
Lasciamo perdere quando bisogna scegliere lo shampoo, o il detersivo. Gli scaffali e i prodotti ci saltano addosso, e ogni giorno ci troviamo a fare delle scelte sciocche, che può darsi che finiscano col distrarci da cose che hanno una maggiore importanza...
E' possibile che io scriva tutto questo perché non sono mai stata capace di baciare il ragazzo più carino della scuola, penserà qualcuno; lo so, lo pensa anche l'altra me, quella con gli occhi diversi, che guarda più dentro e a volte con ferocia.

Ma un giorno mi sono accorta che il ragazzo più carino era veramente un cretino, ho baciato il ragazzo più carino di "un'altra circostanza" e aveva il cervello di una zucchina... e io che lo volevo intelligente!
Ho baciato quello intelligente... e non aveva un pezzetto di cuore (in realtà credo non lo sapesse usare bene).
Ho baciato quello che "ne vorrei uno che mi amasse disperatamente e per cui non mi sento coinvolta", credendo che non avrei sofferto. Non è così. E poi il Karma, o chi per lui in genere la fa pure scontare.

Insomma, la solita prolissità per dire che è bene, mentre si percorrono le vie della vita avere chiaro dove stiamo andando, accettando talvolta dei compromessi, che ci servono a camminaremeglio, allungando un poco il percorso, concedendosi delle soste impreviste per bere un sorso d'acqua all'ombra.
Però andare. Nonostante tutto quello che può costare, rinunce, sacrificio, sudore... andare sempre verso la meta. Cercando di fare in modo che accada ciò di cui abbiamo bisogno. Cercando di essere se stessi, che è ciò di cui abbiamo bisogno, senza paura.

Se poi il lieto fine non è esattamente come lo avevamo imperfettamente immaginato, forse potremmo ricordare che il genio dentro la lampada... siamo noi.
E che avendo la capacità di darci sempre la migliore chance, forse quello che abbiamo oggi è la chance migliore che ci poteva capitare.

Buon ferragosto!

mercoledì, agosto 12

il dolore

il Favoloso Mondo di Amelie
"si però, quella volta... quanto ho sofferto!"
così diceva una mia paziente, non una, ma molte volte. Qualunque fosse l'argomento di conversazione, lei aveva in serbo sempre una storia del genere. Ma il problema reale è che continuava a considerare presenti tutti quei dolori.
"signora, come sta?"
"ah, sapesse, ho tanto sofferto con questa mano..."
"accidenti, mi dispiace. Ma che cosa è successo?"
"eh, quando stavo cucinando l'agnello, a Natale ..." [la conversazione si svolge in estate]
"a Natale?"
"si, a Natale. Improvvisamente ho avuto un crampo e mi è caduta la teglia dalle mani."
"da allora le fa male?"
"beh, no, ma mi ha fatto tanto male."
"si, [dico io] ma ora, oggi, come sta?"

Non c'era molto da fare. Non riusciva a stare nella situazione attuale, e la terapia finì col perfetto recupero fisico, e la sensazione che la signora avrebbe sofferto ancora a lungo, per vecchi dolori che ricordava.

Ora, io vivo con la ferma convinzione che il mondo sia solo un gioco di specchi, sicché quando rilevo il ripetersi di caratteristiche particolari nei miei pazienti, comincio a chiedermi quali aspetti di me essi mi stiano mostrando.

Se quindi li vedo attaccati alla loro malattia, con la scarsa volontà di reagire e guarire, come è successo di recente mi chiedo quali siano gli aspetti di me ancorati ad un qualche tipo di sofferenza. E garantisco che con un minimo di scrupolo, la risposta l'ottengo sempre.
Tuttavia vi è nella faccenda anche l'ancora di salvezza. Quella signora di settanta quattro anni che in una seduta ha imparato tutto quello che suggerivo per muoversi meglio (alla faccia di quelli che a trentotto anni dicono che per loro è tardi per cambiare - è successo!!!), e che si è accorta (basta solo un po' di attenzione a se stessi) che il dolore comincia a non esserci più tutti i giorni.

Il mio cuore gioisce e salta in petto, migra come una rondine in inverno da se stesso...
e torna con nuova consapevolezza, trovandosi fiorito come l'Eden in priamvera; le cose possono sempre cambiare.

Non il passato, si sa. Però, con i dati a disposizione possiamo mutare il corso del presente. Il corso d'essere.

Già, perché siamo come pittori, nei confronti della nostra vita. Artisti e artefici che possono riprodurre istericamente la stessa situazione milioni di volte, anche se con colori o tecniche differenti; oppure possiamo prendere la soluzione di girare lo sguardo, e cimentarci con un nuovo modo d'essere. Che fa un po' paura (abbandonare il dolore è comunque abbandonare una sicurezza) ma che a volte contiene i semi d'un nuovo fiore.

Mi sovvengono i personaggi del Favoloso mondo di Amelie... Quel vecchio pittore con le ossa fragili che continuava a riprodurre lo stesso quadro di Renoir, per esempio.
Non sempre abbiamo una Amelie che viene a cambiare le cose... Ma come lei, possiamo provare a vedere se, agendo in modo leggermente diverso con il mondo, esso si modifica!

Poi, un giorno, tornando a casa dopo il lungo viaggio, scopriremo il fiore dai sette colori proprio dentro al nostro giardino.
Guardo.

E il dolore non è più nemmeno un ricordo.

domenica, agosto 9

Riflessioni

riflessi, Basilea
Se c'è una cosa che non amo di me, è l'incapacità di mostrare tutto ciò che sono. Omissioni, non bugie. La verità che volete sentire. Non quella scomoda. Non tutta la verità.
Quello che credevo che voleste vedere.
Come se potesse essere vero!
la verità ha una vita sua, e, che ce ne accorgiamo o meno, alla fine trionfa sempre.
Diceva il principe della Bella Addormentata disneyana "spada della verità, vola diritta, del male provoca la sconfitta".
E il male, in tal senso, non è qualcosa di disgiunto da noi stessi; sono quelle ombre che ci portiamo dentro... i difetti, le paure, le bugie raccontate prima a sé che agli altri. Ripetute a voce credendo che diventino vere. Ma il corpo e il cuore hanno una loro saggezza, che la mente da sola non può controllare...

Tuttavia sovente cado in questo mal vivere, mi perdo e mi confondo. Smarrisco la fiducia in me stessa, perché non posso venir amata per ciò che sono, se non vivo il mio essere.

Qui forse è un po' diverso. Ho pianto battendo sui tasti, ho sorriso e raccontato di cose vere, lasciando uscire un'anima che appare pulita, se non indenne ai colpi della vita. Rinata, dopo l'incidente, e in via di crescita. Spero.
Mi rendo conto però che ancora una volta ho peccato, omettendo tutta una parte di cose che potrebbero non essere importanti se non mi facessi così male a viverle. Se non continuassi a credere che non si può dire tutto a tutti.
Invece mi pare, oggi, che non sia così.

Nei giorni trascorsi in Svizzera ho conosciuto la (ora) moglie del mio amico di Milano, quello che parla tedesco meno bene di me che non l'ho studiato, ma ho appreso sul campo. Ascoltando le parole, cercando sul vocabolario, intuendo il senso. Avevo ventidue anni, e a distanza di tredici ancora esce dalla mia bocca quella perfetta pronuncia dell'hoch deutsch, con una sfumatura bavarese.
Complimenti da tutti.
Ma stavo scrivendo... la ragazza è una che le cose te le dice in faccia: tu mi sei antipatico perché...; a te non ti chiamo più per nome perché ci sono troppe r e sai, con la r moscia....; te mi sei simpatico ma solo quando... ecc..
Bello. Non ci riesco spesso; tento, ma solo con gli amici e premettendo sempre un "non ti offendere", "non me ne volere", "forse ti piacerò meno"...
Importa?

Se non ci amano per ciò che siamo non ci amano veramente; questo non deve essere inteso come un mantenersi nei propri difetti, perché "siamo fatti così", ma significa che intanto che cerchiamo di cambiare dovremmo lasciare che gli altri ci apprezzino a tutto tondo: pregi e difetti.

Lavoro per cambiare, e in questi giorni qualcosa è cambiato.
La storia tuttavia è lunga, per un unico post, per uno scritto che già mi vede perdermi in riflessioni, quando vorrei lasciare qui solo delle emozioni.
La mente è guardiana crudele delle porte dell'infinito; forse è lei la sfinge che impedisce di passare oltre, che pone al cuore indovinelli irrisolvibili con la ragione stessa, perché si sa, le ragioni del cuore sono altre da essa. Le ragioni del cuore, e l'unione tra una e l'altro passano per l'intuizione, la percezione di essa e il consolidamento di ciò che si è percepito attraverso un duro lavoro.

L'una e l'altro, insieme, liberandosi dalle pretese d'uomini d'essere amati da tutti (impossibile!!!) dovrebbero viaggiare assieme, osservati e osservanti, concedendo a questo brandello di Dio che è l'uomo la libertà dalle pochezze umane. Che, in fondo, significa amare, ed essere amati, come Dio.