martedì, febbraio 24

Sincerità


La tv da spesso qualche argomento di cui parlare; sarà anche per dire che "non trasmettono mai niente di interessante". Così è, in effetti, ma talvolta la sera mi sento così stanca che anche questo va bene: sto lì a contemplare il nulla, lasciando che le onde cerebrali si appiattiscano (è dimostrato) e che Morfeo sopraggiunga a salvarmi.
Generalmente giunge presto, amante leale delle prime ore delle mie notti; mi blandisce, per poi lasciarmi come in quella canzone, credo dei Pooh, in cui alla fine lui torna da quell'altra. Si ti amo, lo sai. Però...
Attendendolo come una moglie trepidante che abbia sfornato una deliziosa cenetta che si fredda perchè il maritino è in ritardo, mi è capitato incidentalmente di sintonizzarmi su di una popolarissima trasmissione canora, dove una signorina travestita da Amelie Poulain ha cantato, rimanendo completamente immobile, a parte le corde vocali, una canzonetta dall'incoraggiante titolo "Sincerità". Mi sono soffermata, dato che stava per iniziare, e il conduttore la incoraggiava con fare paterno. Sembrava a dire il vero, una bimba dello zecchino d'oro, ma la voce era gradevole, ed il testo semplice, orecchiabile (perfino per una campana come me), e positivo: niente di meglio, in un momento di crisi, dolore e generale tristezza, poteva sfornare mammaRai per l'italiano, alla ricerca di consolazione.
Ci pensa la tv, se Dio non vi basta; quel Dio barbuto e un po' papà, che ti poggia un'ideale mano sulla testa rassicurandoti che le cose si sistemeranno. Lo dico sempre anche io, che "Dio ci mette sempre una pezza".... anche se a volte si tratta di un Diluvietto da epopea.
Ma se è per questo, la MammaTv nazionale ha vestito anche questo travestimento, e perlomeno ci ha raccontato la storia. Se no ci pensano i colossal americani.
Poco importa, se così forniscono qualche idea a terroristi lirici. che d'immaginazione ne avrebbero abbastanza anche da soli, e che emulano episodi già inventati. Si sa anche questo: Hollywood ama i sequel, e i remake.

ma adesso siamo seri
Tuttavia lo spunto era preso per raccontare qualcosa che mi ha colpito in questi giorni, ovvero l'incidenza dell'emozione sulla capacità di giudizio.
Non sto a parlare di ulteriori violenze, di cui ho detto, in preda all'emozione e no, e che per ora languiscono nel canale che salto alla tv della mia mente, perché anche qui c'è bisogno di tranquillità e sicurezza.
Parlo della necessità che ha l'uomo, quando è addolorato, sfibrato, deluso, di appoggiarsi a qualcosa ma soprattutto a qualcuno.
Una mia amica, magari è sempre la stessa, mi stava raccontando l'altra sera di quanto fosse rimasta delusa dall'ennesimo uomo che le aveva promesso di esserci sempre. A parte che non è fisicamente possibile, potete indovinare da quanto tempo si conoscevano?
Un mese.
Lui le ha detto 'ti voglio bene' dopo due appuntamenti e 'per te ci sarò sempre' a l terzo.
Considerato quanto lei sia impegnata, non sono certa che ce ne siano stati altri, dopo; prima che lui sparisse.
Come ha fatto il migliore amico del suo ex, che dopo averci provato, professandole un amore eterno, implacabile, disarmante, appena ha preso il due di picche è rapidamente desaparecido.
Io sono una vecchia cinica, per quanto riguarda l'argomento, ed ho obbiettato, obbiettiva: " che cosa credevi che facesse"; ma lei no, insisteva così tanto sul fatto che lui avesse promesso 'cosa e come', che quasi ho voluto entrare nella sua innocenza e rimanere lì.
Non foss'altro che credo ci siano persone cronicamente dipendenti, che hanno cioè bisogno costante di qualcuno che giunga su un cavallo bianco e gli tenda la mano rassicurandole che tutto andrà per il meglio. Io l'ho fatto, con lei, ma le amiche nel tal caso contano poco. MammaRai ci prova, permettendo (non ho sentito nessun'altra canzone, quindi parlo così, un po' a naso) che vinca la voce di una bambolina giapponese che ci mostra, prendetela pure in giro, la semplicità della risposta.
Sincerità.
La canzone in può piacere o meno, critichiamo pure la tipa che canta, è un paese libero no?, ma non sarebbe male considerare, nel rapporto con gli altri, che questo dovrebbe essere un elemento sempre presente.
Tra medico e paziente.
Tra amici e famigliari.
Nei rapporti di coppia.
Si perché, che vale, dire che ti amerò per sempre se già due giorni dopo il matrimonio siamo dall'avvocato ad avviare le pratiche della separazione "perché nel caso ci dividessimo avremmo subito il divorzio"! (fatto vero)
Che senso ha sfruttare le emozioni di qualcuno che si sente solo, che ti chiede d'essergli vicino perché mamma è malata, che (nonostante gli improvvidi consigli dell'amica cinica) credendo di potersi salvare dalla solitudine che ha dentro e non si riempie con niente, vi chiede "dimmi che andrà tuto bene"?
Non andrà tutto bene.
Perché si scrive "sinceramente vostro", si dice "ti amo sinceramente", ci si esibisce in qualche "ad essere sinceri", senza sapere cosa significa davvero.
E non andrà sempre tutto bene, non è possibile, perché altrimenti non potremmo gioire e risollevarci.
Però capiterà (basta fare attenzione) che una persona a cui non avete chiesto niente vi darà una mano, scriverà una lettera o un post sul blog, e vi farà sentire meno soli.
Capiterà che il sorriso di una persona, o l'impiegato delle poste complice della vostra stanchezza, vi potranno mostrare che in fondo "da qualche parte, oltre l'arcobaleno, il cielo è blu".
Capiterà di trovare, a distanza di anni, una persona che pensavate di aver perso, deluso, ferito; che in fondo avete un po' allontanato, forse non compresa, e che vi abbraccia di nuovo.
E riprende con voi il filo di una cosa vera.
Anche per mandarvi al diavolo.
Senza maschera.
Con sincerità.

domenica, febbraio 22

Marsia



Sono partita credendo di fare un viaggio in un ricordo di venticinque anni fa; quando con gli sci ai piedi cadevo spesso (ora non scio più), e m'infarinavo di freddo sulle brevi piste di campo Marsia, negli Abruzzi, perchè altri posti erano troppo lontani.
Allora li anelavo, quei posti preclusi, oggi non li apprezzo, perchè troppo frequentati; così pieni di città che sembra di non averla lasciata.
E poi, quella, è la neve più bella che ricordo; forse battuta, ma solo nella sensazione, dalla prima neve caduta quando ho vissuto in Germania e, col fiato grosso di freddo mi sono infilata in un cabina gialla, come in un maglione il cui filo non chiuso mi permettesse di telefonare a casa, e scaldarmi la solitudine gridando: "nevica, nevica!".
Era novembre, e la neve sarebbe durata tutto l'inverno. Ma non lo sapevo. Bambina, lì, a vent'anni, come qui vent'anni fa.
Di tempo ne è passato, anche da quel tempo.
E ogni volta trascorre più di un inverno, prima che torni a rompere cristalli, sulla superficie imbiancata.
Croop. Croop. Fanno i primi passi, incerti, quando mi fermo a fotografare i cavalli. Sulla montagna, prima del valico di Colle Bove, sembra che non ci sia nessuno. Non un sussurro, un cinguettio, un fruscio. Se non mi muovo, si percepisce il silenzio vertiginoso della neve.
Croop.
Mi azzardo, spaventando i cavalli. Rotta l'incertezza, il fermo immagine si anima, e quelli si muovono, torpidi, riprendendo a brucare; silenti, nel tempo di oggi, in cui guardo, attori d'un muto narrato dal sole.

Si rompe il silenzio, poiché questo viaggio è anche ricordo; e mi sale nella testa la voce di mio fratello, che osserva la stessa collina che guardo adesso: "sembra la testa di un calvo con tanti capelli". Ha sei anni, forse; di sicuro è la prima volta che si va sulla neve. Quella volta in cui, come tanti bambini prima, sopraffatti e orgogliosi di noi abbiamo scoperto che la neve è fredda.
Oggi lo diamo per scontato, come tante cose, e rideremmo a sentircelo dire. Persa l'innocenza, intesa come non conoscenza, dimentichiamo. Per poi, paradossalmente vivere nel ricordo...
Mi ripiego le gambe in macchina, assaporando il gusto di sole che ha preso nella breve sosta, e raggiungo la sommità del valico, perdendo lo sguardo nella vallata coperta di neve dove, nascosto da una collina, è arrotolato Tagliacozzo, come un gatto su una coperta.
La via per i campi da sci, dove si transita senza catene sulla neve vecchia, impastata di fango, nasconde presto la valle e s'insinua tra le morbide curve del paesaggio boscoso. Il silenzio che rompo resta come anelito, mentre la musica, spenta da un po', aleggia come eco sgradita, ospite non invitato di questo incontro tra le risa e le ansie di giungere dello ieri di tanti anni fa, e l'attesa che teme d'esser delusa di oggi.
Abitudine ad una città che ti cambia sotto gli occhi, in cui a volte ti confondi perché certi riferimenti collaterali cambiano a stretto giro, dimentico che il mondo è anche quella stessa città eterna: il Colosseo è sempre lì. E Campo Marsia è sempre uguale.

Forse è vero, che una volta che si vive in un posto si può apprendere da esso tutta la saggezza. Perché l'intero universo è contenuto in un chicco di senape, pur nella sua devastante infinità. Così a volte si ha la sensazione che bastino pochi libri, con le cose vere, per avere sotto mano tutto il sapere che serve.
Ma la vista non si sazia, e il mio ricordo neppure. Ho bisogno di svoltare l'ultima piega di strada. Sospendo il fiato.
Riprendo.
E' esattamente così, che la ricordavo. La stessa pista corta, e un'altra che, nella memoria era smarrita, e transita il ricordo in scoperta.
I bambini, gli stessi di sempre, ridono rotolando giù dal bob, echeggiati da un riso scintillante e nuovo che mi tintinna dentro; e in questo gelo, scioglie l'ancora della memoria, e col riso di ieri nel ridere d'oggi, mi avvio sui passi che non ho mai compiuto. Gratto la superficie della neve per sentirla dissipare il freddo al primo contatto con la punta della lingua. Affondo nel manto intoccato del bosco, accompagnata dai raggi di sole che mi insegnano una via in salita, mi indicano una traccia che corre verso il posto che cerco.
Crop. Crop.
Il suono si modifica leggermente, quando la neve è più ghiacciata; e mentre salgo lenta, mi assalgono parole che raccontano quello che sento; infastidita dal rumore che fa il pensiero affondo e scivolo, preda di una sonnolenza che ottunde la coscienza, smarrita fra due tempi. Smarrita da me stessa. Che tento di lasciarmi indietro, perchè questo è un tempo che non dovrebbe appartenere a niente.
La speranza di questo, forse è inutile. Ma so che ho camminato, corso, saltato, respirato. Finché il pensiero è rimasto attaccato all'ombra di un albero, ed è restato solo il muoversi.

Allora l'ho trovato, il posto che stavo cercando.
E sono stata accovacciata in un raggio di sole, col sè scorticato, sulla roccia nuda di neve, a dimenticarmi di ricordare.
A sentire il silenzio che sparava i suoi raggi sul cuore scoperto.
Ne ha sgelato le stanze, lasciate piene di polvere. Ha ricamato una tela nuova, per la tenda che non posso tirare più.



Un link per chi fosse interessato al Marsia della Mitologia...

sabato, febbraio 21

Anteprima

oggi ho camminato in un ricordo...
c'era la traccia di me,
che fuggiva nel bosco.
Le risa infantili di allora.
Nel riso di oggi.


Una gita a Marsia, negli Abruzzi. Domani altre parole. Per oggi un assaggio su Flikr, vicino a qualche nuova foto.

... e naturalmente c'erano....


premessa
Un paio di settimane fa Pesciolino mi invita alla festa di Carnevale, organizzata dal gruppo con cui va in montagna.
Wow, penso io, dato che la vita sociale è tecnicamente zero, in questo periodo, non sarebbe male una serata in un ambiente nuovo... così, tanto per mutare un po' il giro di amici. Passo le due settimane intercorse, fra l'invito e la festa, a ribellarmi all'idea della mascherata; perché io ero una di quelli che non ama travestirsi. Si sa, la maschera la portiamo ogni giorno, quindi, almeno a carnevale si potrebbe lasciar perdere, opinavo in tali occasioni; e vestirsi da se stessi.
Poi arriva il giorno.
E le opinioni si sa, sono cose passeggere.
Da quella che ero all'ultimo carnevale ad oggi, in più, è trascorso l'incidente, alcune sensazioni, riflessioni, cose, sono cambiate, benché la mente si affanni a rincorrere una vecchia e conosciuta parte di sé, per tenersela avvinghiata addosso. Come un cappotto fuori moda e troppo stretto. Si voleva mascherare con quella vecchia faccia, la mia mente; quindi non "mascherarsi "affatto.
Ed essendo un po' vanitosa, in previsione di conoscere gente nuova, l'idea era di "mettersi in tiro"! Scorro le possibili combinazioni... Tailleur e tacchi, vestito e stivali neri eleganti, jeans e maglione collo alto ("pigiama e divano", dice la parte di me che si chiude nei cassetti e vorrebbe stare a casa con la sfolgorante compagnia della tv).. Ricomincio: abito da sera e guanti lunghi (ah no, l'abito è ostaggio di mia madre)... Alla fine scopro che queste sono tutte cose che metto davvero sempre (a parte l'abito da sera)!
Con l'idea di non togliere la glassa le mille facce dell'esistenza me le vivo sempre. E mi travesto, lo sapevamo dall'inizio, per fingere di essere una scafatissima insegnante pc-e-tailleur, un'allieva snob che non mette la tuta ai corsi (perché mi sembra di stare in pigiama), una signora elegante anche in montagna...
Alla fine decido: forse la vecchia parrucca nera e il vestito di velluto blu, (con cui interpretavo una Dama Arwen un po' meno pettoruta di Liv Tyler) potrebbero andare. Un travestimento... ma quasi un vestito normale.
Carnevale dovrebbe comportare "un temporaneo scioglimento degli obblighi sociali e delle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell'ordine, allo scherzo": mi infilo soprattutto questo, di vestito, e scivolo fuori casa con lieve passo elfico.

epilogo
"Mai divertita così tanto!"
...
si dice così, vero? sempre, quando ci si diverte e si ride fino alle lacrime.
é andata così, infatti. Ho ballato, liberando la schiena dagli obblighi del dolore, lasciando che tornasse la follia leggera che anima le feste carnascialesche, attraverso evoluzioni che credevo dimenticate. Non ho bevuto un solo sorso di vino, ho mangiato una cena raffazzonata di quelle che "ciascuno porta qualcosa", dolci confezionati (perfino le frappe del discount) ma ho ballato divertendomi con tutte le facce della mente, del cuore, del corpo!
E dico, quasi tutte le donne mi hanno fatto i complimenti, perfino le due col cappellino, che facevano i passetti coordinati, mentre io e Pesciolino volteggiavamo nei ricordi del corso di salsa, e in creative tarantelle.
Gli uomini mi danzavano intorno sorridendo, e abbiamo davvero animato la festa. Non mi era mai successo.. o quasi (una volta, a capodanno, con un po' di Rum e un amico carissimo come 'compagno' di danze).
Mi pareva davvero di essere una principessa fatata, leggera e agile...

"Magari hai una mazurka?"
L'unico rischio corso era urtare qualcuno, nei volteggi sfrenati sul pavimento mattonato della palestra... e rompergli un femore. Cosa al quale, Pesciolino infermiere e io allieva-maga, avremmo anche potuto rimediare).
Si perché l'età media, diciamo, non consentiva a Pesciolino (la cui tenera quarantaduenneità aveva necessariamente eletto come DJ) di mettere, che so, musica Tecno.
Sono passati i Beach boys, che piacciono a tutti, Gloria Gaynor, e la tarantella, appunto.

Nonostante le luci stroboscopiche abbiamo dovuto ballare sotto le luci al neon, per evitare che qualcuno confuso, si ferisse; ho ballato la tarantella con una vecchia e graziosa signora che la chiamava 'salterello', e Flashdance con un signore che aveva più o meno l'età di Platone.
Ma davvero, "non mi sono mai divertita tanto"! E nonstante l'età (io ero la bambina di turno, praticamente, e Pesciolino il 'ragazzino più grande) o forse per quello, c'erano un sacco di maschere! Ne ho viste meno alle feste di bambini e ragazzi, alle quali io ero tra quelli non travestiti. C'erano le streghe (ma il naso era vero!), il vecchio re, la Mummia, il Faraone, Pochaontas (che con i suoi 38 anni era 'la bambina un po' più grande)... e naturalmente c'erano ... le Kessler.
Quelle vere. Nate nel 1936.


martedì, febbraio 17

La velaia di T.



Il sangue m'è uscito di vena.
Ho trovato le tue parole, colorate e lunghe come un arcobaleno; l'origine, nel tempo in cui eravamo ragazze; la pentola d'oro nel punto in cui, come variopinta pioggia, raggiunge egualmente te e me, che al di là di qualsiasi quantità di miglia interposte, ci troviamo nello stesso luogo. Non è per l'età condivisa, ma perché in questi anni, che per gioco fingeremo essere sette, parrebbe che abbiamo camminato assieme, per strade diverse e lontane, giungendo allo stesso incrocio.
Allora, col cuore bambino, ci siamo forse ferite. Adesso ci scrutiamo l'anima, come ad accertarci d'essere quel filo rosso che concede la sua costanza nelle variazioni dell'esistenza; quello che, a distanza di anni, nonostante un capello bianco, le rughe ai margini degli occhi, le vite sorprese diverse dai sogni di allora, ci fa riconoscere.
Tastiamo con delicatezza questo incontro, scoprendolo, come un margine che potrebbe sparire, una rena bagnata dal mare... e poi non più.
Con garbo, pur se mi verrebbe di mettermi fretta, perché il contorno non muti troppo veloce, da farsi irriconoscibile, e doverlo filare di nuovo.
Da qui, t'immagino, oggi, tessere una vela del color del cielo.
Sì che si confonda allo sfondo e non ti riporti troppo lontano; sbagliandosi il vento tra 'l cielo, e la tua vela, ci passi attraverso e ti faccia aspettare.

sabato, febbraio 14

Buon compleanno


Un soffio di brina si è adagiato tra i capelli, ma il tuo sorriso è quello che da sempre ricordo. Non perde un'oncia del suo brillare, nonstante la vita a volte sia dura e rattrappisca la forza; a volte, la vita, ti ha messo davanti, poi dentro, il dolore che si ingrossa quando ti senti solo e tradito.
ALtre volte ti ha dato un sussulto di gioia imprevedibile, che ha fatto ridere tutta la pelle, scoprendo fra i denti serrati dall'energia che ci vuole a camminare, uno spazio leggero. Che poi è quello che aggiunge grazia ad una meditazione, e toglie fatica all'ndare avanti fino al termine.
Non posso augurarti che sia tutto sempre bello, o non avresti la gioia che segue il dolore. Non posso augurarti che il tempo sia clemente, ma che la sua corsa incessante ti faccia solcare ogni anno con vigore rinnovellato, questo si.
Che le pieghe nascoste si aprano innanzi. CHe tu possa aspettare, quando la brezza è caduta, uin nuovo vento che sospinga per mare. Che il cuore si scopra sempre padrone, e con quell'angolo occupato dal pensiero di chi, al di là degli errori che capitano tra di noi, ti amam d'amore infinito.
T'è figlia, t'è madre, t'è amica.
Auguri, mamma.

lunedì, febbraio 9

A Lila piace...

Correre con i piedi, più veloce che con i pensieri...
Il silenzio diverso del lago, ogni mattina...
La cornacchia nera, sui rami spogli del tiglio...
Ricordarsi suo papà che legge ad alta voce il Signore degli Anelli...
Ricordarsi di sua mamma che fa il cioccolato con la panna del latte munto la sera prima...
La canzone di "Tutti insieme appassionatamente", in cui elencano le cose che piacciono di più. a cui pensare quando sei giù!

giorno 4


Con la promessa, non mantenuta, di un po' di sole si è chiuso anche questo seminario della "scuola per giovani maghi". Per fortuna a noi è concesso esercitarci, tra un corso e l'altro, sicché stamani, nonostante il vivo desiderio di avere una domenica (cioè una giornata in cui non c'è niente da fare) il desiderio di andare al lavoro è rinvigorito, rispetto alle ultime settimane.
Bisogna dire che il mio è un bellissimo lavoro, ma a volte ti stanca un po'. E ci sono giorni in cui te ne stai racchiuso nella malinconia, guardando fuori la gente che sgambetta senza un pelo di conoscenza della sofferenza umana, e vorresti cambiare lavoro.
Io però non so fare altro. Così mi iscrivo ai corsi, a scuola, insegno, imparo... perché l'importante è guardare con occhi nuovi, non avere sempre qualcosa di nuovo da guardare.
La sofferenza stessa, vista dal nostro punto di vista ed esulando dalle implicazioni Karmiche o punitive, assume degli aspetti diversi. Per ciascuno è il massimo che possa sopportare. Per ciascuno è d'importanza fondamentale transitare nella fase del dolore, e risolverla, lasciando spazio a quello che viene dopo. In osteopatia si va alla ricerca della causa (lesione primaria) per far si che il tempo tra una fase e l'altra di sofferenza sia più lunga possibile.
La lesione primaria resta sempre, nel corpo, ma può divenire priva di tensione, tuttavia, appunto può restare come ciò che in genere si chiama il punto debole.

L'osteopata, quando conosce un altro osteopata, o un paziente, invece del segno zodiacale si chiede, chiede al collega, o al corpo del paziente, "di che primaria sei?"; da lì parte la sua conoscenza nuova del mondo, perché ciascun corpo si organizza diversamente.
A prescindere dall'apprendimento (per me questa volta è stato piuttosto un ripasso di cose vecchie, viste con occhi nuovi, sentite con mani che hanno diversa sensibilità, reinventate con aggiustamenti di tecnica sopravvenuti negli anni), io continuo a tentare di aggiustarmi rispetto alle persone a me circostanti, la classe, per esempio. Ci provo, davvero, a legare un po' di più. Vado a pranzo con gli altri, almeno una volta sui quattro giorni di corso... e scopro che pranzare in silenzio ti fa sentire dei sapori nascosti solitamente dalle parole, dall'animarsi di un pensiero, dal voler affermare la tua ragione mentre i molari sminuzzano il cibo.
Bella esperienza. Tutti a far chiacchiere, ed io (non m'accadeva da tempo) mi sono masticata il riso insieme con la stanchezza, lasciando che uno subentrasse all'altra. In tutti i sensi Il quarto giorno ero meno stanca del primo, e sorridevo di più.
Proprio alla fine, come nella vita, o in una meditazione ben riuscita, avrei potuto andare avanti all'infinito.

E forse ho finalmente compreso il mio insegnante: tanto è il piacere che trae da quello che fa, che se riposa, riposa il lunedì, come i parrucchieri. Ma solo il lunedì, sia chiaro. Di domenica, insegna.
Nel nostro lavoro, e nel suo ancor più, poiché ovviamente è bravobravissimo, a volte ci si può sentire come Neo, in Matrix (2 o 3, non ricordo), quando infila le mani dentro Trinity e le fa ripartire il cuore... Vabbè, dico, magari sto esagerando, però a volte sembra proprio. Quando riesci bene, i risultati sono spettacolari, e sai che hai fatto una cosa bella per ricreare armonia, in una persona; questo ti da una carica di energia che appare illimitatta. Quando riesci bene. Peccato che, come tante volte accade, diventi difficile con le persone che ami, i familiari, dico, con cui un po' ci si perde per l'ansia di fare del bene, la paura di sbagliare, l'impressione di essere inadeguato.
Sarà... Prima o poi un certo distacco subentrerà a liberarmi dall'incertezza. Quando non avrò paura di perdere nulla. Il che fa un uomo invincibile.

sabato, febbraio 7

Tra cielo e terra


Un pensiero sospeso, tra la terra e il cielo;
un ramo gettato dalla sua patria al mare
attende il ritorno del navigante,
come un faro,
per condurlo a riva.

Cuore di cactus


Ebbene, il terzo week end Bracciano è colmo di nuvole nere, pioggia solerte che non trascura di chetarsi nell'attimo in cui ti metti al riparo, e ti riaccoglie nel ventre umido del mondo quando accenni la passeggiata sul lago.

La mattina, nei giorni di corso, esco sempre prestissimo, per avere la possibilità di seguire in silenzio la via che porta sulle sponde, inciampare in una foto, calpestare un po' d'erba. Gli odori dell'acqua e della terra mi spengono la testa, e se ho voluto accompagnare il mio collega, giovedì e venerdì, oggi il mio cuore di cactus si è ritratto un po' di più, lasciando solo le spine: gli ho detto che mi fermavo a dormire fuori, per non averlo con me in macchina.
(anche quando finisce la giornata ho bisogno di "decompressione").
Il mio collega, che ho convinto a seguire la mia stessa scuola di osteopatia, è un uomo tranquillo di cinquant'anni, un po' bigotto e di sinistra, simpatico ma vagamente conflittuale, nelle sue espressioni. Il mio insegnante, che è anche il mio osteopata, una volta mi ha detto, con tono sorpreso, che abbiamo due caratteri completamente diversi. Io penso, invece, che un po' ci assomigliamo; ma la mia voce in genere è aperta e forte, come la tramontana. Lui nelle rare volte in cui urla lo fa con una voce che sembra strozzarlo, come se allo stesso tempo cercasse d'impedire alle parole di uscire: è uno scirocco sabbioso d'estate. E altrimenti parla così piano che con la macchina in moto, e il finestrino aperto, si fatica ad udirlo. Però parla.
Come la tramontana che è implacabilmene gelida, e ti blocca il respiro nella pancia, a me la mattina piace spandermi in silenzio, allungarmi in solitudine verso la giornata testandone i meandri e raschiando il torpore dagli anfratti dell'anima; pulirmi il cuore dai residui non digeriti del giorno prima o della notte che, infilatasi nel mezzo, si trascina ancora in qualche angolo. Soprattutto quando devo passare tutto il giorno in mezzo ad un sacco di gente.

Lungo il lago, riparo nel mio cuore, e l'amore gli rallarga la visione; si spande, perché in questo periodo è in uno stato pieno di amore, e sorrido, solo per avvertire il fruscio della pelle sui denti. E corro, solo per sentire il sangue che affluisce sulle gote, infiammandole e incidendo negli occhi la luce del giorno.
Poi rientro nei ranghi, mi apparecchio il sorriso del buongiorno buongiorno e cerco di solidarizzare con questa classe che incontrerò per i prossimi cinque anni. Di cui, aihmè, finora non riesco a dire molto bene.
L'assistente con cui avevo discusso è sempre più pieno di sé; diverse persone fanno ancora finta di non averti visto, e se ti parlano lo fanno con un'aria supponente; se sembri intelligente vogliono esserlo di più, se ti tieni sotto tono credono che tu sia stupido, e non ti si filano proprio.
Tutti, proprio tutti, vorremmo essere trattati dal "mio" insegnante, che il mio collega chiama "olandese volante" col tono di disprezzo che usa (ormai lo conosco un po', lavoriamo insieme da anni) quando una persona gli incute rispetto.
Molti invece cominciano a sciogliersi un po' o forse, sempre meglio partire dal fatto che l'imperfetta visione sia la mia, sto iniziando ad abituarmi a loro...

venerdì, febbraio 6

Ritorno a Bracciano

Mi disseto di gioia
col rivo sottile di luce
che tracima dalle nuvole;
inprevisto, inarrestabile indizio
del fuoco che arde
nella fucina di dio.

giovedì, febbraio 5

c'è un tempo in cui tutto finisce.
I giornali tacciono, se non li leggi ad alta voce. La tv è chetata dalla noncuranza nell'accenderla, il dolore è addormentato dal movimento; la rabbia... dal tempo stesso.
Non importa. Poco dopo aver pubblicato il post "rabbia" cRi, al secolo Cristina Giorgilli, ha pubblicato questa illustrazione (o forse l'ho vista in ritardo), che mi ha gentilmente concesso di usare.
Non so cosa le abbia dato l'ispirazione; il vento, forse, che Pierluigi sente rapirgli i pensieri. A cui i poeti affidano le rime giacenti nel cassetto, perché domani ritornino a calmare la paura di non riuscire più a creare. O perché non tutto si pubblica e si declama, ma il sussurro del vento è ineluttabile. Se qualcuno lo detesta, s'infila in una manica di giacca, svolta l'angolo che tu non cerchi, e, rauco, crepita una sospiro nell'orecchio di qualcun altro. Che ascolta.
Coglie un punto, una virgola, due sillabe. E il sogno del poeta s'avvera.
L'aria si raccoglie in poesia, in prosa, o in immagini.

Così, alle volte.
E chissà da che parte tirava il vento, quel giorno; ma ringrazio Cristina per l'offerta e pubblico l'illustrazione, sentendomi oggi una bimba con qualche lacrima appesa al sopracciglio nonostante il silenzio ottenuto dal mondo. Con dentro un mostro verde, che vorrei aver dietro quando apro la porta dell'ufficio. Che vorrei non avere dentro altre volte, quando mi chiudo alle spalle la porta di casa, e aspetto che ritorni Bruce Banner.

mercoledì, febbraio 4

Rabbia (2)




L’eruzione rabbiosa

si stempera

ammutolendo la passione

là, dove trovava voce.
Le ultime colate

lasciano un suono

di pace, e silenzio.

Un anelito
d’altra passione.


Il freddo è assoluto.

Bruciante.

domenica, febbraio 1

Premio

Non amo le catene e in questo concordo con Federico e Amelie, ma l'attribuzione da parte di Mobu mi ha commossa, ed ho lasciato che il piccolo e riottoso pezzo di me che rifiuta questo gioco, giocasse.
Niente di male, un po' di pubblicità per chi lo ha inventato, un minuto di pubblicita per noi.
E poi, se anche non è promessa sfiga, nonnostante ciò che scrive qualcuno, come si dice... meglio non rischiare. Quindi:
" "Il premio Impegno" è un premio virtuale, inventato Den, che si assegna ai blog che si impegnano per migliorare e aggiornare il meglio possibile il loro blog.
"Il premio Impegno" ha certe regole, che le persone che lo ricevono devono rispettare:
- pubblicare la sua immagine
- scrivere il suo regolamento
- premiare altri 12 blog
- continuare ad impegnarsi per migliorare e far conoscere a più persone il proprio blog" .

E naturalmente ora passiamo all'assegnazione (ho appena corretto dei compiti, quindi mi sento nello spirito giusto...)
Federico , Mobu e Al, cRi, Pierluigi, che saluto con gioia tra i lettori, e che ha due blog, ma si becca un premio solo perchè sennò non vale :)), Alessandra Fusi, Valentina Stefanini, Tsunami..., Crazy Nena, Animalia, Notiketonthebus, Cives Manf, e Il Panda, ovviamente.
Ovviamente mi sono dimenticata qualcuno, ma stando alle regole se ne potevano scrivere solo dodici. Il resto va a quei blog che seguo, anche se non come lettore ufficiale, passando di tanto in tanto, capitando per caso... e in ogni caso va a tutti quelli che, anche se non hanno un blog, si impegnano comunque a migliorare.
Grazie. Perchè senza di voi le cose potrebbero... andare diversamente!




Rabbia (nessuna foto è adatta a questo post)

Lasciatemi essere arrabbiata!
per l'oscenità e la vigliaccheria d'un atto, come lo stupro, che sporca chi lo subisce, lo marchia con un segno che porterà una vita, gli toglie (non so se solo a tempo determinato) la gioia d'una delle cose più belle che l'uomo possa fare: toccare per amore.
Sfiiorare con amore un'altra persona, inventare sui pori della pelle nuovi percorsi, attraverso monti che non hanno nome, su spiagge d'occhi senza confine, che trasportano dritti dritti nel cuore di Dio.
Secondo alcune tradizioni, percorrendo certe vie, l'energia sessuale viene canalizzata per elevare l'uomo oltre la propria finitezza.

Cosa può accadere in uno stupro?!! è ovvio, spero, che non sto parlando per quelle bestie dei carnefici, che non hanno nemmeno la concezione dell'accoppiamento nel suo senso animale di riproduzione, né quello semplice del piacere. Il piacere non è in tal caso insito nell'atto, sessuale quanto nella violenza in sè, e forse nella ridicola sensazione di potenza che 'ste bestie vigliacche e stolte credono di esercitare.
Una volta definii vigliacco un uomo con cui 'stavo', come si suol dire. E qualcuno mi disse che era un termine cattivo. Cattivo, ma lo trovai adatto. in modo diverso. e ora gli chiedo scusa. Chiedo scusa del pensiero che ho avuto. Ora, lui, l'ho capito,; l'ho anche perdonato, perdonando a me stessa di essermi lasciata ferire.
Aveva paura.
Essere Vigliacco, come lo intendo io, almeno, a fronte delle vicende di questi giorni, è un termine che starebbe male ad una iena. La iena si getta sugli avanzi degli altri animali per senso pratico, forse per debolezza... ma in natura non si assiste (a mia conoscenza) a scene quali raccontano in questi giorni.
Ci sono sempre state. Lo so. C'è anche di peggio, ma non voglio accanirmi sui pedofili, perchè la mia rabbia sconfinerebbe in quella zona in cui le parole mancano, e scatta il desiderio spasmodico di rendre vera la pistola della ragazza e con lo stesso sorriso mellifluo abolire dalla terra una certa parte di umanità.
Senza parlare. Senza le battute da film, che non so inventare (la rabbia funziona) e non riesco nemmeno a farmene venire in mente una da citare.
Dunque vigliacchi.
E se la rabbia è esplosa alla notizia dei due rumeni agli arresti domiciliari (neanche mi informo, ma immagino che siano i due arrestati per complicità e per aver nascosto gli altri o sarebbe da giustiziare la Giustizia stessa!), la mente prima serena si diletta ora ad imaginare le pene da comminare ai quattro che hanno assalito la coppia di Guidonia.

Lavoro con persone che stanno più o meno male, tutti i giorni, più o meno a lungo, da anni.
Vi garantisco che a volte torni a casa e non hai voglia di toccare neppure il cibo nel piatto, che è inanimato... figuriamoci una persona che ami. Te li senti addosso (lavarsi le mani con l'acqua fredda e fare una bella doccia aiuta, ma a volte non risolve), quelli per cui hai lavorato. Con cui hai lavorato.
Diversamente a volte tuffarsi nella carezza a/di qualcuno che ami ti solleva, e ridistribuisce la vita, riportando alla coscienza che, anche se per lavoro, ogni volta che tocco qualcuno lo faccio per-con amore.

Torniamo quindi indietro. Quanta acqua dovranno usare, le vittime di uno stupro, prima che tutto svanisca? Quanto tempo, prima che la memoria se ne vada dal corpo?
Ve lo dico. Non se ne va mai. Nemmeno quando non la senti più. Nemmeno se la superi psicologicamente in modo completo.
Puoi alzarti, e ricostruire da lì, si. Puoi trasformare l'esperienza.
Puoi elevarti e perdonare, coprendo tutto con "l'eccellente manto della Carità".
E perfino così, resta.

Sconfino: il Brasile ci ha accusato di non essere un paese civilizzato, democratico e quant'altro. Perdonatemi (è uno sfogo) ma per una volta non potrebbe essere vero?


L'anima


"Per l'anima nessuna condizione imposta è un bene durevole" (Platone).
Così, qualsiasi raggiungimento che non sia contemporaneo del corpo, del cuore, della mente, non rimane che una statica nozione.
Alacremente qualcuno lavora, per porsi nella condizione di mutare lo stato, sempre effimero, delle cose. E d'un tratto, i tre si fanno Uno, l'uomo-doppio non è più mezzo (metà) e si percepisce un lieve mutamento di condizione...

Insegnare è il modo migliore di imparare, quindi voglio ringraziare che mi sia data la possibilità di farlo, poiché è da lì che talvolta si apre un mondo nuovo, si fissa (idealmente e temporaneamente) una condizione, si scarta un altro regalo della vita.
Ieri pomeriggio, dietro la cattedra, tra i miei studenti preferiti che mi lasciavano per la fine delle lezioni, ho appreso l'anima che apprende; mi spiego. Un'anima giovane dovrebbe essere sempre disposta ad imparare, da tutti e da tutto. Lo sapevo, si, ma quando si percepisce, si sa, si è coscienti che sia davvero così?
Ieri, nel pomeriggio.
Si parlava e ragionava su argomenti che sono ormai sotto la mia pelle. Perfino quando non ci voglio pensare sono lì: strisciano fra le vene, emergono tra le fasce, s'impolverano nelle rughe d'espressione ai margini degli occhi. E all'improvviso ho scoperto che le parole, che uscivano lente come se invece di parlare ascoltassi, specchiavano la soverchiante condizione d'apprendere ed ascoltare. Non da me. Non fuori di me.
Un attimo.
Rapidissimo è sparito, benché l'averlo percepito alla coscienza, ora che ci penso, mi fa sperare che permanga come condizione "di tabula rasa", unica condizione permanente accettabile. Sicché la conoscenza non s'arresti.
Perché non si componga niente in un ineluttabile e fisso destino.
Perfino un quadro, che dice a chi guarda sempre qualcosa di diverso, mutia nella percezione dell'artista. Basta che innanzi ci sia un estraneo. Non uno spettatore, non altri dallo spettatore.
Che sia l'autore od altri, uno sconosciuto che passa, l'animo disposto a testimone resta giovane. Non scolorisce.

Il volto di oggi, allo specchio, è di nuovo giovane. E ha gli occhi del cangiante color del cielo.