domenica, gennaio 25

Week end romano

Ieri pomeriggio eravamo tutti a Porta di Roma. Perfino io, che i centri commerciali li odio cordialmente, perché scalfiscono il piacere di entrare congelati nel negozio, e scaldarsi velocemente le ossa. Sfilare la giacca, infilarla di nuovo per uscire...
Qualche volta, dopo essere andata in moto sotto la pioggia, le gambe fradicie e inumidite dal martellare dell'acqua, mi riparo e mi provo dei calzoni tanto per indossare una cosa calda. Gioco a fare il barbone, insomma; un lusso che può concedersi chi non lo è!
Oggi, il complice inaspettato del mio sconforto (il film che voglio vedere lo proiettano solo qui, era necessario) è un barboncino nero, issato dal padrone su una panchina di legno. Ha il muso quasi storto in una smorfia di sorpresa benché si possa supporre che non sia la prima né l'ultima volta che passi di qui. Chissà come deve sembrargli, camminare su queste superfici marmoree, senza il piacere di correre a lasciare le sue tracce in qualche angolo, o ramazzare il suolo con le zampe per nascondere i propri escrementi.
Un mondo strano. Al cemento ci siamo abituati, ormai. E la sorpresa che si prova, nel camminare sul terreno morbido, vero, quello fatto di terra ed erba, traspare dal poggiare i talloni incerti, ogni volta che capita. Esploriamo di nuovo, con eterna sorpresa. Assuefatti al battito quasi doloroso su superfici assai più dure.
Ma questo è un tranquillo sabato romano; ha annottato innanzi tempo per via delle nuvole basse, e della pioggia lieve e grigia che cade, quasi impalpabile, da questa mattina.
Non c'è, sembra, altro da fare. Gli ultimi saldi ci attirano come mosche, presi nella rete del commercio.
Mentre cammino vicino ad una vetrata, assorta dl silenzioso muovrsi delle gocce, frastornata dalla musica di sottofondo di qualche negozio, mi corre incontro un amico, che porta il figliolo al cinema. E sotto lo sguardo attento del cagnolino spaesato, la prima cosa che il bimbo dice è che "non c'era posto". Per la macchina. Al cinema si, c'è sempre posto. Ora, o più tardi.; ad uno spettacolo o all'altro.
purchè tu sia disposto ad illanguidirti su poltrone che sembrano voler riprodurre quelle di un salotto; ma il piano di seduta è troppo lungo, non c'è sostegno lombare, e il film un po' noioso mi appare inteminabile. Sarà per via di quelle ossa che ancora non sono proprio giuste, al cento per cento... un po' in saldo anche loro!

Domenica.
Dopo tanto tempo, mi godo, complice il maltempo, una lunga permanenza a letto, prima di ricordarmi che se si arriva all'Ikea un quarto d'ora prima dell'apertura offrono la colazione! Hanno sempre delle grandi idee! Così mi vesto in fretta ed arrivo giust'appuntno per bermi un caffè e mangiare due biscotti, assieme all'altra metà di Roma. Che altro vuoi che ci sia da fare, la domenica di una cupa giornata d'inverno?
Le mostre, già viste o non interessanti, sono tutte in centro, ma mi ci reco talmente spesso che non ho proprio voglia di prendere l'acqua e scenderci in moto. Tanto più che i negozi sono chiusi.. e non si può giocare a "il conforto del barbone".. come lo chiamo io.
Mi guardo intorno, per vedere se ci sia il barboncino.
Poi mi rassegno alla solitudine, acchiappo la solita marionetta dell'alce che non comprerò, ma che mi tiene calda la mano, e mi tuffo nella luce artificiale.

All'uscita percepisco una lieve variazione. La luce esterna s'è fatta calda. Qulla strana palla che sovente corre su e giù nel cielo s'affaccia dalle nuvole e mi colpisce dritto negli occhi.
Mi riparo in macchina, temendo che sia dannosa e corro a nascondermi a casa.
Un po' asociale. Un po' normale.




Tempo


Più di cento vite ho vissuto

e ancora chiedi quanti anni ho?

Quale importanza dai

a questo incubo del tempo;

costringendoti a contarlo

attorno ti si fa prigione.

Pone i confini del ‘dove quando e come’.

Se ancora sono qui a camminare

vuol dir che non son giunto

e contar gl’anni andati altro non fa

che rimettermeli tutti innanzi

‘sì da impedermi di arrivare... là.
Allora, cosa importa più,

dove sono o quanto ho camminato?

domenica, gennaio 18

mia libertà

Dante lasciate ogni speranza o voi ch'entrate"Non sia d'altri, chi può essere di se stesso", diceva una volta un certo Paracelso.
Ed oggi queste parole mi emergono innanzi gli occhi, perché dovremmo vivere liberi, in libero stato con libera chiesa. Invece siamo occupati. Siamo occupati dal martellare dal capo di un piccolo stato annidiato nell'eterno cuore di una magnifica città, che ha già troppe volte detto la sua su argomenti che avrebbe dovuto lasciare all'intelligenza della gente; ma, quel che ci fa peggio, è che come è libero lui vorremmo esserlo noi, che invece ci scontriamo con coloro che impediscono la libera espressione del cittadino sbandierando la necessità di attenersi al rispetto della religione. La rispetto, questa religione cattolica; la appoggio, nella misura in cui bilancia eventuali ismi di altre religioni; ma sempre di più faccio mia la frase esplicativa con cui Odifreddi titola il suo libro "Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)".
Arrivo al punto.

Da un po' di tempo si parla delle scritte atee comparse sui bus inglesi "dio probabilmente non esiste, quindi rilassati e goditi la vita". Potrò apparire un po' di parte nel dichiarare la mia esultanza, di fronte a quello che per me era praticamente una battuta in classico british humor, e che, come tutte le battute, portava strisciante in sottofondo un messaggio; in questo caso positivo, a mio parere. Rilassati e goditi la vita infondo non significa "vai per strada e fai quel che diavolo ti pare"; da persone libere, tutti noi credo che ci rendiamo conto che c'è un limite alla nostra libertà, ed è quanto questa cozza contro la libertà degli altri. In realtà non è nemmeno un limite, ma una tutela di noi stessi.
Di fronte ad una chiesa che minaccia le fiamme dell'inferno per i non credenti, insultando il buon nome di milioni di persone che si comportano civilmente senza perciò essere inquadrati come cristiani, la risposta degli inglesi mi sembra la cosa più adeguata che l'uomo può produrre. Di fronte a quello che è peraltro un enigma affascinante e apparentemente irrisolvibile.
Probabilmente non esiste.
La civilissima Spagna, che permette e tutela le coppie gay, argomento che mi è stato fra l'altro sollevato di recente da una amica rispetto all'opposizione alla depenalizzazione dell'omosessualità da parte di santaromanachiesa, ha lasciato, senza preoccuparsi che dio esista o meno ,che venisse pubblicata sui bus sia la scritta atea sia quella che i buoni cristiani hanno ritenuto opportuna come risposta: "Dios si existe. Disfruta de la vida in Cristo".
Mi sembra giusto.

In Italia, ci abbiamo provato anche noi. A Genova.
Ci tenevano veramente, se, come si dice, i genovesi sono tanto avari. Ma non ha funzionato.
"LA CATTIVA notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno" ,era lo spot, ma pare che sia stato bloccato.
Libera chiesa, in stato occupato. In persone occupate dal pensiero di dare libertà alla chiesa. Ma solo a quella.
Il commento del mio catto-collega è stato che la pubblicità era subdola, in quanto buona farebbe riferimento alla 'buona novella', cioè al vangelo.
Io, che sono notoriamente un po' sciocca e distratta, non me ne ero accorta. Forse perché ritenendomi un libero pensatore, e avendo letto diversi testi di Meister Eckhart, ritengo che davvero non ne abbiamo bisogno, di Dio. Non nel senso chiesastico, perlomeno.

Dio è dentro l'essere umano, che se si libera dai confini imposti dal pensiero indottrinante può scoprire in sé una infinita libertà, nell'amore e nel rispetto di tutte le creature. Con la gioia di scoprirsi non diverso dagli altri, da nessuno, né da Dio.
La fisica moderna sta cercando di scoprire quella piccola particella di massa che da sostanza a tutto l'universo, e se per ora si avvale solo della teoria delle Stringhe(ora M-teoria), è comunque interessante osservare che non si discosta troppo dal concetto difficile che appartiene alla descrizione del fotone: è onda e particella insieme.
Dio, allora.

Dio sarebbe insieme quel punto piccolissimo e l'infinito intorno a noi.
Sarebbe insieme quello personificato della chiesa, che lo fa rappresentare come un buon vecchio con la barba che però punisce e si incazza se non fai esattamente quello che dice, e quello infinito e senza dimensione, a cui non ti puoi attaccare in alcun modo, della metafisica indiana. Della metafisica in generale. Di tutte quelle religioni che per cercare di condurre la mente umana a tale concetto ne impediscono la rappresentazione figurativa.
In qualche modo cercano di insegnare.
In qualche modo anche santaromanachiesa cerca di insegnarci; e lo apprezziamo. La dottrina evangelica è un meraviglioso messaggio, che Cristo sia esistito oppure no.
Perché alla fine sembra che il problema sia questo.
Dio probabilmente non esiste. Non come concetto razionale a cui cerchiamo di arrivare.
La com-prensione di ciò che è, purtroppo, è riservata a pochissimi che riescono a valicare il limite della mente, dell'idea di IO come qualcosa che, perituro o imperituro, sia consistente.

Dante, sulla soglia dell'inferno scriveva sulla porta "lasciate ogni speranza, o voi ch'entrate".
Sulla soglia della vita la speranza che dovremmo abbandonare è che qualcuno giunga a salvarci da noi stessi, forse.
Perché poco dopo, nel Paradiso, lo stesso Poeta ci renderà quel frutto meraviglioso e inestinguibile (la speranza, appunto) dopo averci resi vivi, avendo percorso l'inconscio (Inferno), il conscio (Purgatorio) e tutta la potenza comprensibile e narrabile della struttura dell'universo (Paradiso).

Insomma... La cattiva notizia, è che non sappiamo renderci conto di non aver bisogno di Dio per essere buoni o saggi. La buona è che pare che ci si riesca lo stesso.

sabato, gennaio 17

Le bamboline giapponesi



1- Camminavo per una via, priva di vetrine e semi buia, con le scarpe umide d'una di quelle piogge infinite che flagellano la città eterna, consegnandosi alla memoria come eterne esse stesse; le brevi pause non la percepisci nemmeno più, tanta è la guazza che ti circonda. Ma tant'è, chiudo l'ombrello e alzo il capo, finendo col piede in una pozza torbida. La sorpresa m'arresta con lo sguardo alzato e vedo, a qualche metro di distanza, una bambolina giapponese che cammina verso di me.
Ma si, sembra proprio una statuina a cui qualche dio improvvisato abbia dato le movenze di una donna. I capelli rossi fiammeggianti, legati in due ciocche corte ai lati della testa; il viso è bianco come la carta d'un quaderno nuovo,con due spigoli rossi sugli zigomi e vi spiccano occhi bistrati ed una bocca rosso ciliegia, vagamente stonata rispetto al colore dei capelli. Sono lì, incantata a fissare il naso della bambolina che a questo punto mi è talmente vicina da farmi apparire più finta del suo viso, nella mia immobilità stupefatta.
"Mi scusi, viale Bruno Buozzi?"
Spalanco la bocca ed un moto ondoso mi sommerge il cuore: parla!

Garantisco, sarà stata la fame, o la stanchezza d'un giorno che mi ha grattato la schiena tutto il tempo con un dolore pungente, ma non riuscivo a crederci, che fosse viva.
E l'istante in cui ho osservato il mio mutismo incerto, indecisa se fosse tutto un sogno e mi potessi improvvisamente svegliare fissando il calendario accanto al letto, è stato davvero eterno! In appropriata coordinazione cromatica con la città attorno a me, le rispondo con la voce grigia, striata dalla pioggia dello spavento per quell'innaturale contatto con l'essere animato che avevo davanti.
"Quella lì, la via che va in salita".
Elargisco un sorriso al dio burlone di questo incontro, sperando che la prossima volta la ispiri un po' meglio sul trucco da usare per apparire viva, ma un po' innaturale devo essere sembrata anch'io, perché ha camminato qualche metro oltre, prima di girare e avviarsi nella direzione indicata. Visto che io andavo dalla stessa parte!

2- La donna che ho davanti sul letto è talmente magra che le mie mani, forse grandi oltre la misura consentita, sono troppe per avvolgerle la gamba. Il suo viso ha l'aspetto plasticato che si produce per la troppa abbondanza di crema, o appena prima che questa venga assorbita dai pori della pelle. I suoi rossi naturali incastrati sugli zigomi sporgenti, però, sono legati al fresco che penetra dalla finestra socchiusa, o dal lieve imbarazzo della mente confusa; quando le domando come sta e cosa ha mangiato, si sta appena scostando da tavola, mi risponde che c'erano tanti bambini.
"Ha mangiato i bambini?" testo io, incidendo la superficie d'una sicurezza che ha perso ormai da qualche mese. Infatti, tutto sommato, attende qualche secondo prima di produrre una risposta sconnessa:"un poco più in là..." E si ferma. Sicura che qualcosa non vada, in quello che sta dicendo.
Insomma, la figura una volta elegante, accartocciata nei meandri stretti d'un labirinto che non riesce a valicare, è affetta da Alzheimer.
Qualche volta però il dio burlone delle bamboline smette di confondere le cose vere con i soprammobili, e rianima quelle giuste. Così, mentre le racconto (lei è nata a Milano, e spero di coinvolgerla un po') che progetto di andare a Milano per un week end, si lancia in un coerentissimo "e lei in che rapporti è...". La frase non termina, ma il senso è chiaro. Il dio, un po' distratto evidentemente fa zapping tra la bambolina della strada, che ora sarà in qualche civico di viale Bruno Buozzi e quest'ombra della donna di cultura di cui i libri impolverati sul comiodino suggeriscono la memoria, e custodiscono gli avanzi.
Ma poi si riconcentra (il dio) e lei non mi lascia neppure terminare la spiegazione:
"sa, signora, a Milano abita un mio amico, che ha una casina piccola piccola. Ma ora può ospitarmi, perchè la madre è emigrata in Thailandia..."
"Pratico!" risponde lei.
Per un attimo torna la bambolina immobile, e quasi penso che qualcuno, origliando la conversazione, nascosto dietro la tenda abbia suggerito la parola giusta.

Scoppiamo a ridere, tutte e due.
E per qualche momento le incoerenze della giornata si risolvono, nella risata piena che mi asciuga il cuore intorpidito, e che scuote lei, ritagliandole un piccolo spazio in cui risente coincidere la vita di dentro e quella di fuori.

venerdì, gennaio 16

Ritrovarsi

Due vite già abbiamo vissuto
o forse anche più d’un milione
e nell’apparente distanza
d’un tempo ch’è vaga illusione
ancora un milione di vite
si sono, gioconde, stipate.
Lanciati ci han molto lontano
magneti di carica uguale,
oppure due sassi in un volo
eterno, per meta distante.
Però, nonostante le scelte,
le cose già fatte, già dette
in sogno io so cose, sai,
che sveglia non vidi, giammai!
e adesso, chè l’ora, che conta
ritorno da ieri, per te.
E sol nella mano mi tengo
il cuore un po’ arido, stanco,
ripreso dal letto di spine
sul quale ha giaciuto gemendo
credendosi a morte colpito,
dai colpi che alcuni m’ha inferto.
Cantato ha un dolore infinito
amando lo stesso suo pianto,
ma, scorse le lacrime amare
lavato è lo sciocco rancore,
svegliata la forza soppressa
nel macabro autocompianto.
Mi levo così, e la mia voce
sommessa, ma chiara e serena
al cuor tuo rivolge una prece:
ti prego, fratello, perdona.

(a tutti coloro che in qualche modo, involontariamente, feriamo nella vita d'ogni giorno)

sabato, gennaio 10

Che partenza sarebbe?

Mi sei mancato, ieri,
e non potevo trovarti
che in quell’angolo del cassetto,
dove hai abbandonato il tuo odore.
Mi sei mancato, ieri,
quando volevo fare a pezzi
tutta la rabbia dei fallimenti,
ma tu eri già andato.


Eri la mia stanza segreta,
il posto stretto, dove nascondere
i frammenti più fragili,
le borse non ancora vuotate.
Avevi la mappa
delle mie infinite solitudini,
sapendo bene quando
potevi riempirle
solo con una tazza di the.
Che solitudine sarebbe altrimenti?

Mi sei mancato, nella sera polverosa,
chiudendo la finestra dei ricordi.
Lo zefiro del tuo, cercava di rientrare
ma l’ho tenuto a bada.
Mi sei mancato, nell’incespicare
d’un giorno che non avrà più fine
e non ti trova in nessun orizzonte.
Ho perso la traccia dei tuoi passi.
Che partenza sarebbe, altrimenti?

La via del bello 1 (e adesso, siamo seri!)


dio ha quattro qualità ed è quando le sviluppate che potete comprenderlo. Esse sono: amore, bellezza dolcezza e splendore. È sufficiente coltivare l’amore per ottenere le altre tre. Quando siete pieni di amore per il divino immanente in tutta la creazione, quella è la fase della bellezza; quando siete immersi nel mare dell’amore Universale raggiungete il culmine della dolcezza; quando la vostra mente perde la sua identità e si fonde con la mente Universale, allora c’è splendore indescrivibile”.


LA BELLEZZA DELLA FORMA:

“l’occhio non vedrebbe mai il sole se non fosse simile al sole, né l’anima vedrebbe mai il bello se non fosse bella” (Plotino I 6,9-30,32)

Parlando di un argomento tanto sfuggente, è necessario soffermarci per prima cosa sull’apparenza della manifestazione, quindi su quella parte di Dio che l’occhio percepisce scambiandolo con il Vero.

Ciascuno di noi ha un concetto diverso della bellezza, e se possiamo rinvenire nella letteratura (e/o arte) dei canoni (la Regola Aurea, per esempio), questi hanno, fino all’era moderna di confusione, una attinenza con dei principi supremi, dunque con dei dettami che hanno lo scopo di manifestare l’armonia percepita.

Con questo non voglio affermare che sia necessario un appiattimento, un riprodurre istericamente solo cose riconosciute “giuste e perfette”, ma piuttosto l’applicazione di determinati principi comportterebbe il mantenimento di una nota armonica che nella vita di ogni giorno si riflette nelle azioni compiute.

Il concetto che ciascuno di noi applica alla maya e che ci fa affermare che una cosa è bella o meno, non è discutibile, ancorché si ricordi che “la Bellezza è negli occhi di chi guarda”, detto all’apparenza sciocco, ma che si riallaccia al concetto espresso con le parole di Plotino.

Se riconosciamo bella una persona o cosa è perché, per il nostro livello percettivo, essa rispecchia in una qualche misura la Bellezza suprema, per il grado che ci è dato di comprendere. Secondo la psicologia amiamo negli altri qualcosa di noi, che ci appartiene e che ci piace in noi stessi, e parafrasando il concetto, amiamo negli altri quel riflesso di luce che è già nostro; per cui si evince che le sensazioni di felicità che proviamo con/attraverso l’amato, sono nostre, non dovute all’altro ma a noi stessi che riusciamo a manifestare quella luce, quell’amore che è già in noi.

Osservando un tramonto ciascuno può avere una emozione o percezione diversa, a seconda del punto di vista con cui stia guardando. Un animo romantico percepirà il momento struggente ed incantevole, il pittore coglierà i colori, l’innamorato l’emozione di amare in quel momento atmosferico che tanto piace ai poeti. Qualcuno meno sensibile, o forse solo oggettivo, di fronte ad uno spettacolare tramonto romano, di sfondo alle superbe architetture antiche, potrà osservando i colori cangianti, osservare che tanta magnificenza è frutto… dello smog!

Ecco che quasi verrebbe a crollare, come dice Voltaire, qualsiasi pretesa di parlare della bellezza, così fuggente ed ingannevole, se non fosse che ci resta ancora quella che è permanente: il Bello per eccellenza, che è raggiungibile quando non guardiamo più con gli occhi creati, ma con quelli della Creazione; con la percezione o meglio la Conoscenza dell’Essere, di Essere un tutt’uno con Quello, che è percepito, e che sta creando le forme innanzi a noi.

Tale bellezza la possiamo sperimentare attraverso lo stato orgasmico di unione con l’altro; quando tutto esiste ma allo stesso tempo non ha importanza in quanto evento a se stante ma come tratto del disegno di coloro che si uniscono; su qualunque piano tale unione avvenga, benché l’unione completa con ‘Dio’ venga in genere chiamata estasi.

giovedì, gennaio 8

giornataccia?

AAARGH!
oggi è uno di quei giorni in cui odio andare a lavorare.

Arriva un tirocinante nuovo, e con la sua faccetta speranzosa aspetterà che io elargisca pillole di saggezza terapeutica. Invece mi sento spenta come la TV. E quello che non sa è che in genere il primo giorno che ne vedo uno nuovo (tirocinante) il cervello si impappina, i pazienti satnno peggio del solito, e... non ho voglia di lavorare.

sabato, gennaio 3

i sogni realizzati

All'inizio dell'anno uno degli auguri più belli e, fortunatamene, anche frequenti, è che i nostri sogni si realizzino. Che possiamo avere tutto ciò che desideriamo.
Quindi... attenzione!

per dire:
quando ero piccola desideravo tanto fare la maestra. Così anche negli anni, per un certo tempo, prendevo in mano vecchi temi e li correggevo. E poi scrivendo talvolta poesie, e forse chissà un giorno un libro (un di quelli seri però, diciamo che rischia di essere 'pesante'), ecco che sto e stavo lì a correggere, rileggere ecc.
Ma, appunto, i sogni si realizzano.
Nell'anno passato si è concretizzato uno di quelli; proprio quello di insegnare. Ovviamente si tratta di argomento inerente al mio lavoro, sicché ho perfino l'onore piacevole di sentirmi chiamare professoressa. O la docente.
Mi fa un po' sorridere, mentre il mio ego si autoccoccola un po'.
Con gli onori, gli oneri, ovviamente.
E' qui che occorre fare attenzione, perché di solito sono la parte non considerata dei sogni. Quella che poi ci fa sussurrare atterriti "ma non era esattamente questo, che volevo", oppure "ma chi me lo ha fatto fare", o solo un attonito "ops".
L'attonito ops è ovviamente la fine del sogno: mi è stato richiesto di fare una verifica di fine corso, ed ho avuto la bella idea di proporre delle brevi domande da svolgere a casa. Non cavilliamo sui motivi; il risultato sono stati 45 compiti tutti uguali. Tutti.
Ops.

Diciamo che, a posteriori, mi si è sviluppata una certa comprensione per i poveri professori. Non puoi non leggerli, i compiti; qualcuno potrebbe sbagliare. Qualcuno potrebbe saltare una risposta. 45 persone potrebbero fare i compiti tutti uguali.
La prossima volta faccio un quiz. Nemmeno a risposta multipla; solo vero/falso. Almeno faccio prima!
E poi le chiamano vacanze!

giovedì, gennaio 1

Auguri 2


Un augurio è un pensiero "che ti ho pensato".
Che lo si scriva con le nostre od altrui parole, che sia collettivo o (meglio) individuale, che sia in tempo oppure in ritardo.
Perché il tempo non esiste, e il pensiero se non noi, ha la possibilità di correre avanti e indietro a ieri che mi sono dimenticata di scrivere o telefonare, perché la vita premeva e mi spingeva altrove. Perché la mano era sul paziente, e la mente a voi che non dimentico mai.

A tutti quelli che leggono, a tutti quelli che passano, ai miei genitori, senza cui non sarei qui e a mio fratello, senza cui non sarei quella che sono, auguro di raccogliere i cocci dell'anno vecchio, e buttarli via senza nessun rimpianto. Con l'orgoglio di dire che, comunque, ce l'abbiamo fatta. Con la gioia di sapere che, comunque, ne verrà del bene.

Ogni anno qualcuno sospira e dice "meno male che è passato", e in genere lo fanno in molti quasi automaticamente. Io, come altri, ne avrei "ben donde" rispetto all'anno passato, ma il vantaggio di reinventarsi, con nuovi capodanni e nuovi compleanni, ogni giorno, partendo da quel granello di miglio solo che sta nel cuore, ma che racchiude tutto l'universo, è che ieri non c'è già più, ma è stato sempre bello.
Ho sofferto, ho pianto, ho giaciuto sull'asfalto riprendendo le mie funzioni dopo un attimo di arresto... e sono viva. E siamo vivi! perché quello che a volte non ricordiamo, ed è molto più importante di far gli auguri oggi domani o ieri, è che abbiamo anche riso e gioito. E fosse stata solo una volta sarà stata sufficiente.

Ogni anno qualcuno ci augura il meglio che possiamo desiderare, e allora desideriamo il meglio. Compiamo il nostro meglio per essere attenti a riconoscere la gioia, assieme al dolore, e dimenticare in fretta l'una e l'altra, perché ci sia spazio per quello che verrà.

Questo è il mio augurio, a te, che sei nel mio cuore dall'alba dei tempi, che non ho conosciuto mai abbastanza, che non dimentico seppur non ti ricordo... a te, chiunque tu sia.